Frédéric Martel: “Così si vince la battaglia sul matrimonio per tutti”

Intervista all'autore di Global Gay: "In Italia il problema è la sinistra, non la Chiesa".

Frédéric Martel: "Così si vince la battaglia sul matrimonio per tutti" - martel bologna 1 - Gay.it
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Frédéric Martel: "Così si vince la battaglia sul matrimonio per tutti" - martel globalgay1 - Gay.it

Sociologo, giornalista, scrittore parigino e francese, “mondialista” e gay. Così si definisce Frédéric Martel, riassumendo tutto in una sola parola: post gay, ovvero gay con un’identità plurale, non più identificabile esclusivamente con l’orientamento sessuale. Ospite del festival bolognese Gender Bender, giunto alla sua dodicesima edizione, per presentare il suo libro, Global Gay (ed. Feltrinelli), tradotto in 20 lingue, Martel racconta quello che ha osservato, della comunità gay globale e delle comunità gay locali nel suo viaggio durato cinque anni tra Usa, America Latina, Sudafrica, ma anche Iran, Cina, Europa e Nord Africa. Lo abbiamo intervistato tra i crostini con la mousse di mortadella e un piatto di tagliatelle, rigorosamente al ragù.

Che epoca attraversa il movimento gay nel mondo?
Questo è un momento particolare, di grandi cambiamenti. Quella che definisco la “questione gay” permette di capire l’evoluzione culturale e dei diritti a livello globale. Negli ultimi 30 o 40 anni abbiamo visto realizzarsi cambiamenti prodigiosi, non ultimo il passaggio epocale dalla criminalizzazione dell’omosessualità alla criminalizzazione dell’omofobia. Cambiamenti che, in qualche misura, hanno sorpreso noi europei. Siamo da sempre abituati a pensare che i diritti dell’uomo fossero patrimonio del Vecchio Continente: dalla rivoluzione francese fino alla Carta Europea dei diritti dell’uomo, questo è sempre stato uno dei capisaldi della nostra cultura. Ma la rivoluzione gay ha cambiato prospettiva: sono gli Usa, che per decenni abbiamo considerato il nemico, ad avere aperto la strada e ad essere diventati punto di riferimento, da Stonewall a Obama, passando per le lobby.
Negli anni ’70 si guardava ai paesi comunisti convinti che da lì sarebbe partito il cambiamento e l’affermazione dei diritti. Poi un giorno ci siamo svegliati e ci siamo accorti che erano regimi totalitari e omofobi. Insomma la rivoluzione è arrivata più da Castro, il quartiere, che non dai fratelli Castro, i cubani.

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Un’evoluzione che spesso le leggi hanno registrato tardivamente.
Sì. È spesso successo, e succede ancora, che il cambiamento parte prima dalla società e passa dai tribunali. Se ci pensate, il matrimonio egualitario in Usa si sta affermando, a colpi di sentenze dei giudici. Ma è un cambiamento che ha attraversato anche la comunità gay. Pensiamo al linguaggio, ad esempio. Prima si parlava di “matrimonio gay”, poi si è passati a matrimonio “same sex”, adesso si dice “matrimonio egualitario”. Perché i gay e le lesbiche di tutto il mondo non vogliono un matrimonio per loro: vogliono che il matrimonio sia lo stesso matrimonio per tutti.

La politica, però, non può non avere un ruolo.
Certo. Obama, che, permettetemelo, non è Renzi, si è esposto molto e questo ha certamente contribuito. Durante l’ultima campagna presidenziale disse espressamente di essere a favore della totale uguaglianza tra etero e gay. Avrebbe potuto perdere le elezioni, per questo, invece è stato uno degli elementi che lo hanno fatto vincere. In Francia, invece, Hollande, che non era favorevole al matrimonio egualitario, lo è diventato per non lasciare spazio alla sinistra più radicale.

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Sta descrivendo una situazione quasi idilliaca. Ma l’omofobia è una realtà, in molti paesi l’unica realtà.
Io distinguo tra omofobia calda e omofobia fredda. Nel primo caso mi riferisco a quei paesi in cui le persone omosessuali vengono condannate a morte per questo. Sono tutti paesi musulmani e appartenenti all’Organizzazione Islamica. E poi ci sono i paesi in cui l’omosessualità viene punita con il carcere. Tra questi ci sono molti paesi in cui è il Vaticano ad avere un peso importante. Come i paesi dell’Africa. Se ci facciamo caso, i codici penali condannano l’omosessualità tutti con lo stesso articolo, il n.317 che ripete le stesse parole, ovunque, a parte l’Uganda. È un’eredità del colonialismo vittoriano. In ultima analisi non è vero che condannare l’omosessualità significa preservare l’africanità, come dicono. L’omofobia è un lascito del colonialismo, non c’era prima.

E l’omofobia fredda?
In questo caso mi riferisco a paesi in cui l’ossessione è minore. Non si condanna l’omosessualità in quanto tale. Ma alle persone lgbt è vietata ogni forma di attivismo. Penso alla Cina, alla Russia e ad alcuni paesi dell’Europa dell’Est. In tutti i casi, il filo conduttore è la religione, che sia il buddismo o l’ortodossia, il cattolicesimo o l’islamismo. In questi paesi, ad esempio, sono le discoteche, i club, i bar ad avere un ruolo determinante. Sono i luoghi da cui passa l’affermazione di sé, dove si crea la comunità. È un aspetto che non va sottovalutato.

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Israele è un paese fortemente religioso, tanto da non prevedere nemmeno il matrimonio civile. È un’eccezione, dunque?
Sì perché Israele ha molto lo sguardo rivolto agli Usa e vuole mantenere il suo ruolo di democrazia reale. E inoltre, è circondato da paesi arabi estremamente omofobi: una politica friendly permette a Tel Aviv di marcare una differenza più profonda con loro.

La comunità italiana vive la presenza del Vaticano come un enorme ostacolo all’affermazione dei diritti civili.
In Italia il problema non è il Vaticano, è Renzi e la sinistra. Perché è la politica che deve attuare in ogni campo la separazione tra Chiesa e Stato, puntare alla laicità. In Francia questo ha aiutato molto. Ci sono leggi del secolo scorso e addirittura precedenti che stabiliscono la netta separazione tra la politica e la religione. È lo Stato che definisce cos’è il matrimonio, non i vescovi.

Ha seguito il Sinodo sulla Famiglia? Cosa pensa di quella che viene considerata un’apertura della Chiesa verso la comunità gay?
Non ci credo, mi dispiace, ma non credo che arriverà niente di concreto dalle parole che abbiamo sentito. Aspetto i fatti, tutti aspettano i fatti. Le persone hanno bisogno di cose concrete, non di parole.

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Anche Berlusconi, di recente, si è dichiarato favorevole alle unioni civili.
Berlusconi è stato al governo per tanto tempo e non ha fatto nulla. Anche in questo caso, aspetterei i fatti, ma naturalmente è un giudizio che lascio agli italiani perché ogni comunità è diversa dall’altra, ha le sue peculiarità e una strategia che si è rivelata buona per un paese non è detto che funzioni altrove.

Che intende?
Che bisogna essere più furbi degli omofobi. Ad esempio, sono due gli errori da non commettere. Da una parte si devono stringere alleanze con altre realtà che si occupano di diritti, come le organizzazioni delle donne o i sindacati. Non farlo è sbagliato, perché deve passare il messaggio che i diritti delle persone lgbt interessano tutti dato che parliamo di diritti umani. Per capirlo basta guardare le mappe: la mappa dei diritti lgbt coincide con quella di tutti i diritti civili. E se non lo facciamo noi, a stringere alleanze saranno i gruppi omofobi.

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In Francia, poi, abbiamo lasciato che il dibattito sulla fecondazione eterologa entrasse a far parte della discussione sul matrimonio egualitario e le adozioni, mentre è una questione che andava affrontata a parte. In questo modo abbiamo permesso che questo venisse usato per attaccare la comunità gay e le sue istanze.

Insomma, non tutto e subito.
È normale essere radicali e pretendere che i propri diritti vengano riconosciuti tutti e senza mediazioni. Ma è con la politica dei piccoli passi che nella maggior parte dei casi si sono vinte le battaglie. È stato così in Usa, in Francia, ma anche in Inghilterra. In Europa, la battaglia per i diritti è determinante, per questo bisogna che la strategia che ognuno sceglie sia quella più efficace.

di Caterina Coppola

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