Aids, all’Onu accordo senza coraggio

Alla fine di tre giorni di sessione speciale arriva solo uno e mezzo dei 10 miliardi di dollari auspicati da Annan. E il documento finale cede alle pressioni di Vaticano e Paesi musulmani.

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NEW YORK – Tanto rumore, e fatica, per nulla? A poche ore dalla conclusione della prima sessione dell’Onu dedicata a una malattia – e della prima volta che le Nazioni Unite avevano trovato il tempo di parlare di Aids – per i corridoi del Palazzo di vetro si aggirano soprattutto facce deluse: sono quelle dei 26 leader degli Stati africani e dei 3.000 rappresentanti delle associazioni confluiti a New York con la speranza che questa tre giorni rappresentasse una svolta nella lotta all’Hiv.

Dopo estenuanti trattative è stato raggiunto un accordo sulla bozza finale. Ma il documento sembra presentare ancora molte lacune. Su entrambi i fronti: l’impegno comune ed esplicito per l’informazione e la prevenzione dei comportamenti a rischio e, soprattutto, i famosi 10 mila milioni di dollari promessi da Annan in dote a un Fondo unico internazionale capace di tenere testa a un’epidemia che in Africa, con 25 milioni di ammalati su 36 in tutto il mondo, rappresenta la prima causa di morte. Con molto inutile puritanesimo, la dichiarazione finale soddisfa il Vaticano più delle Ong, mentre per ora di soldi ne sono arrivati soltanto il 15 per cento di quelli che dovevano essere raccolti. Sotto forma di semplici impegni.

Parole, parole, parole. Da lunedì l’Assemblea generale ha diviso il capello in quattro su ogni sfumatura e aggettivo possibile in materia di “morale sessuale”. Pur dovendo accettare, dopo la marcia dei gay a Manhattan, una rappresentanza ufficiale a Palazzo di vetro per le associazioni degli omosessuali, la “Santa Alleanza” di Vaticano e Paesi musulmani alla fine ha ottenuto sul fronte più importante, quello del documento finale, una sostanziale vittoria. Non a caso sono proprio loro gli unici a sorridere sui sofà del Palazzo di vetro.

Le parole della bozza erano davvero “pietre”, capaci di segnare il confine tra la vita e la morte per migliaia di tossicodipendenti, prostitute e omosessuali, che nel mondo occidentale sono ancora le principali vittime dell’Hiv. Di loro, però, l’Onu alla fine non parlerà esplicitamente, nonostante l’affannosa spola mediatrice dei presidenti dell’assemblea, l’australiano Penny Wensley, e il senegalese Ibra Deguene Ka. Le prostitute diventano un generico “gruppo vulnerabile” a causa di un particolare “stile di vita”. Stessa cosa, anche se la loro è un’esistenza “particolare” in maniera diversa, per i tossicodipendenti. I gay? Forse sono da ritrovare tra quelli dediti a “pratiche sessuali a rischio”. Pochi e vaghi accenni anche al sesso, anche tra eterosessuali.

L’unico elemento davvero positivo sembra essere l’unanimità raggiunta per una volta dai 189 Paesi dell’Onu. Che, però, ha annacquato un po’ tutto nel consenso globale. Almeno secondo le Ong, che a stento mandano giù il boccone. Una su tutte: ”Medici senza frontiere” critica il testo perché ”manca di convinzione e seri impegni” e “maschera la realtà, dietro definizioni vaghe e fuorvianti, che non permettono di identificare nel concreto le persone toccate dalla malattia”.

Anche gli obiettivi sono importanti, ma troppo vaghi. La malattia dovrebbe essere ridotta del 25% nei paesi del Nord del mondo entro il 2005 ed entro il 2010 in tutto il globo. Per i bambini si prospetta, invece, un dimezzamento dell’epidemia entro dieci anni. Come, però, ancora non è chiarissimo. Se ne parlerà a Dakar in ottobre, si dice. Ma la data è ancora da definire.

Nasce il Fondo, mancano i fondi. Annan aveva convocato il mondo a New York con l’obiettivo di trovare una montagna di denaro. Sono state promesse solo poche, anche se comunque sostanziose, briciole. E il denaro in questo momento è davvero l’unica arma capace di combattere l’Aids, che nei Paesi occidentali sta arretrando grazie ai costosissimi farmaci antiretrovirali (capaci, al prezzo di 15 milioni l’anno, di allungare l’aspettativa di vita a ogni malato fino a 30 anni dal momento dall’infezione). Queste cure in Africa non sono mai arrivate: ci vogliono troppi soldi. Ecco perché servivano 10 miliardi di dollari l’anno (oltre 20 mila miliardi di lire) per un Fondo unico internazionale contro l’Hiv. Finora, di dollari, ne sono stati raccolti solo un miliardo e mezzo. La metà è garantita dagli Stati Uniti (che non li ha comunque ancora sborsati), che, proprio durante la tre giorni di Sessione speciale, hanno innalzato le loro promesse di contributi da 200 a 740 milioni di dollari. La Norvegia ne promette 110, la Francia 100, il Canada 73, la Svezia 60, la Nigeria 10 l’Uganda 2, lo Zimbabwe 1. Anche il Kenya cerca di contribuire, con un contributo simbolico di 7000 dollari.

E l’Italia? Il nostro Paese, l’unico al mondo a non inviare nemmeno un ministro a New York, ha detto che, come altri Paesi europei, preciserà le dimensioni del proprio contributo soltanto dopo il G8 di Genova del 20-22 luglio. Perché saranno i Grandi a decidere come e quanti soldi si muoveranno in concreto. Roma, per ora, propone una rete di collaborazione sanitaria tra gli ospedali dell’Ue e quelli dell’Africa. Partendo naturalmente dalla parte più vicina, quella che si affaccia sul Mediterraneo, che però non è stata mai toccata dalle dimensioni paurose dell’epidemia subsahariana.

Eppure il Fondo comune è nato e inizierà a operare ufficialmente dal 1 gennaio dell’anno prossimo. Viva il Fondo allora? Forse, perché è pur sempre qualcosa. Ma se anche la montagna dell’Onu ha partorito alla fine un topolino sarà difficile inseguire un’epidemia che in Africa viaggia tre volte più veloce di ogni attuale aiuto internazionale. Cosa risponde Annan? Che, comunque sia andata, è stato lo stesso un successo. Perché "ora le Nazioni Unite hanno un chiaro piano di battaglia", ha detto nel discorso conclusivo. Glissando sui contrasti e lasciando da parte il suo "sogno" da 10 miliardi di dollari.

di Nadir notizie

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