«Sei tu quello che amo, Efestione, e nessun altro» sussurra con occhio languido e sopracciglio vibrante il bel Colin Farrell mechato al delicato Jared Leto che si scatena in un profluvio di «al mondo mi fido solo di te, mi emoziono ogni volta che ti guardo» (questa la versione originale, ma confidiamo nella mancanza di tagli). E’ abbastanza gay ma poco carnale il cupo, violento, furioso e allusivamente erotico Alexander di Oliver Stone pronto a invaderci venerdì 14 con ben 350 copie. Il sentimento amoroso tra Alexander e la sua spalla destra Efestione (inizialmente in ombra e muto, non introdotto in alcun modo nei lunghi flashback) è reso esplicito da dialoghi appassionati e significativi ma non tradotto da alcun trasporto fisico: gli eroi amanti si limitano a corretti abbracci, strette amicali, sguardi malinconici.
Quando Efestione gli regala un grande anello con pietra rossa che il condottiero serrerà in mano in punto di morte e la moglie di Alessandro, Rossane (Rosario Dawson) li sorprende in intimità, il condottiero infuriato arriva praticamente a stuprarla nell’unica scena veramente erotica seguita da pianto e riconciliazione della coppia etero riunita nuda nel talamo nuziale.
Molto più intriganti sono invece i banchetti dionisiaci, lascivi e lussuriosi negli accoglienti giardini babilonesi in cui un meticcio viene violentato da due nerboruti avvinazzati e altri due uomini anch’essi ebbri si scatenano in un bacio appassionato.
Ma il bacio più incisivo è quello che lo stesso Alessandro schiocca sulla bocca di un danzatore effeminato che diventerà suo amante alla fine di un esotico balletto davanti a tutta la corte orientale e la sua stessa moglie Rossane ovviamente sbigottita e indignata. «Alessandro non era né etero né omo, era pansessuale, amava esplorare e frequentava uomini, donne ma anche trans» ha dichiarato alla presentazione romana Oliver Stone in cerca di riscatto in Europa dopo il flop americano (18 milioni di dollari di incasso contro i 155 spesi per la realizzazione di un progetto portato avanti per 15 anni e poi realizzato in fretta; in 93 giorni, tra Inghilterra, Marocco e Thailandia). Colin Farrell, ora con capello nero raccolto con codino e informale giubbotto di jeans ha spiegato che cosa l’ha attratto in particolare di questo personaggio: «Soprattutto la passione con cui ha modellato la propria vita: è un esempio positivo per i giovani».
E i giovani abbondano in questo film (lo stesso Alessandro morì a soli 33 anni): molti resteranno conquistati dallo splendido stuolo di efebici giovinetti di cui si circonda il macedone – spicca l’androgino Jonathan Rhys-Meyers di Velvet Goldmine nei succinti panni di Cassander – e di cui il regista evidenzia soprattutto cosce e quadricipiti torniti e debitamente depilati. Lo stesso Colin Farrell ha forse un’aria troppo ingenua e bambinesca per incarnare con regalità un condottiero dall’allure titanica come Alessandro Magno, effigie storica di grande unificatore di popoli, massimo conquistatore (ebbe in pugno il 90% del territorio allora conosciuto per cinque milioni di chilometri quadrati, dall’Egitto fin oltre la foce dell’Indo), amante disinibito che arriva a sfiorare persino l’incesto con la madre possessiva, una brava Angelina Jolie molto in parte nel ruolo superclassico da peplum della malmostosa e matronale Olimpia, regina dei serpenti infingarda e gelosa del figlio al punto di tramare ai danni di Filippo. E teniamo conto che la Jolie, nella vita reale, ha solo un anno in più del protagonista ventottenne.
Il fascino magnetico di Farrellino, comunque, è innegabile.
Dominato da toni bruni e pastosi, il rosso scuro e l’oro, Alexander funziona soprattutto nelle scene di battaglia tra cui l’imponente scontro di Gaugamela vinto dai cinquantamila soldati di Alessandro contro il mezzo milione dell’armata di Dario III (12000 armi ricreate da Richard Hooper tra cui ben 1000 sarisse, le lance di 6 metri) con le splendide visuali in planata di un’aquila cacciatrice. Memorabile anche l’epico scontro finale nei boschi indiani all’ombra dei quali le falangi macedoni vengono accerchiate da mostruosi elefanti corazzati.
Non mancano però le ingenuità, e non sono poche: la cornicetta didascalica con Anthony Hopkins nei panni di Tolomeo che detta allo scriba la storia di Alessandro davanti al porto di Alessandria col Faro in bella vista (che però fu costruito molti anni dopo); la figura stereotipata di Filippo, padre di Alessandro, con occhio cavato e ghigno costante, interpretato da un Val Kilmer sopra le righe; l’infanzia candida in Macedonia con l’incontro fiabesco tra Alessandro e il suo stallone Bucefalo a cui parla soavemente nell’orecchio; una durata eccessiva (2 ore e 55 minuti) che potrebbe spaventare non pochi spettatori. Comunque Alexander resta un importante e interessante kolossal epico da vedere. Grande? Forse non abbastanza, o perlomeno, non all’altezza di sua maestà la Storia.