63 anni, milioni di dischi venduti e un album, il ventesimo della sua carriera, dietro l’angolo. Gianna Nannini si è concessa una lunga intervista a Vanity Fair, in cui affrontare varie tematiche private.
Da quasi 10 anni mamma di Penelope, la Nannini, che non hai realmente fatto coming out se non in modo sibilino dalle pagine della propria autobiografia, ha preso di petto l’argomento, esponendo il proprio punto di vista.
Ami gli uomini? Ami le donne? Sempre le stesse domande, davanti alle quali uno vorrebbe dire soltanto: “Ma te li fai i cazzi tuoi?”. Eppure sarebbe semplice: a me le divisioni, a partire da quelle di genere, non mi hanno mai interessato granché.Ho sempre amato uomini e donnee soprattutto non ho mai avuto freni nel sentire e seguire quello che volevo. Le ho sempre rifiutate, le definizioni. Al termine “coming out”, che ghettizza, ho sempre preferito la parola libertà. Alla parola gay, che ti pretenderebbe felice e ormai non usano più neanche in America quando indicono un pride, preferisco frocio. Chi è libero nel linguaggio è libero dentro.
Peccato che ‘coming out’ sia tutt’altro che ghettizzante, significando letteralmente ‘appropriarsi di una libertà’ fino a quel momento taciuta, negata, presentandosi al mondo senza maschere, per quello che siamo. Non si capisce quindi di cosa stia parlando la cantante toscana, a cui qualcuno dovrebbe ricordare che anche in Italia i Pride si chiamano soltanto Pride, proprio perché aperti a tutti, e interamente centrati sull’Orgoglio. Chiaramente e fastidiosamente confusionaria, Gianna ha poi ricordato i difficili momenti vissuti, soprattutto nel pieno degli anni ’80.
Tutti mi dicono che so’ pazza, ma credo semplicemente che quando uno è sé stesso sembra matto. La follia è un’altra cosa. Io l’ho sperimentata e ho sperimentato anche la schizofrenia. So cosa sono. Mi è capitato di morire e poi rinascere. All’inizio degli anni ’80 sono stata molto male. Ero piena di paranoie, vivevo una crisi profonda, avevo un io diviso, uno stato mentale alterato e paura di ogni cosa, come una bambina. Ero divisa a metà e a tratti riaffioravano frammenti dell’infanzia a cui non avevo dato nessuna importanza. Quando ero piccola mio padre mi diede uno schiaffo e mi tolse una pasta con la crema dalle mani. Fu una tragedia inconscia, che interiorizzai. Per anni non ho più toccato una pasta alla crema, mi terrorizzava la sola idea.
Impossibile, poi, non parlare di droghe.
Tranne l’eroina, le ho provate tutte. Dalla cocaina, per un po’ di tempo, quasi quarant’anni fa, sono stata dipendente. Ero a Londra e ce la portavano in studio con la stessa semplicità con cui oggi ti consegnerebbero un panino. Non stavo mai senza, ci viaggiavo, ero del tutto incosciente. Un giorno vado in bagno e mentre scarto il sasso rosa, quello mi cade nel cesso. Lo vedo sparire nell’acqua e, mentre si scioglie lentamente e sto per metterci le mani dentro, mi dico: “Non posso fare questa cosa, non posso ridurmi così”. Ho smesso lì. Il giorno dopo. Poi ho avuto una ricaduta, ma dopo aver fatto un tiro e aver bevuto una tequila prima di un concerto, collassai e dissi definitivamente basta.
Gianna vive da anni a Londra, insieme alla figlia e a Carla, sua compagna da una vita.
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