Sono passati tre anni da quando si è venuto a sapere dei rastrellamenti contro gli omosessuali che avvenivano in Cecenia. E ancora oggi si scoprono nuove e drammatiche storie su quell’inferno. Tra le tante testimonianze, si aggiunge quella di Aminat Lorsanova, ragazza di 22 anni bisessuale, che viveva in Cecenia. L’esperienza che ha dovuto vivere è stata a causa del rifiuto da parte della famiglia di accettare il suo orientamento sessuale. Un rifiuto dettato dalla cultura e dalla fede. La ragazza infatti è musulmana, e i genitori osservanti non potevano accettare una figlia con queste inclinazioni. Niente da aggiungere invece nel Paese dove Aminat risiedeva. Un Paese dove erano gli stessi genitori a denunciare i figli. Se non a “eliminare il problema” personalmente.
Aminat è stata picchiata e torturata, sia dai medici in una clinica psichiatrica di Grozny, capitale della Cecenia, sia dai genitori, in particolare dal padre. La sua drammatica avventura inizia nell’agosto del 2018, quando viene portata in una clinica, che sarebbe stata specializzata nelle terapie riparative. Una terapia senza fondamento, naturalmente, che consisteva semplicemente nel picchiare la vittima. Eè dovuta rimanere rinchiusa in questo luogo per 25 giorni.
Le botte e le torture che Aminat ha subito in Cecenia
Nell’agosto 2018, Aminat viene forzatamente condotta in una clinica psichiatrica di Grozny. Qui, un uomo senza nome e in accordo con i genitori, inizia a picchiare violentemente la ragazza. L’unico rimedio per “espellere gli spiriti maligni”, spiega. Le preme il plesso solare (secondo i 7 chakra, il punto dell’affermazione individuale nella società), ovvero il punto dove si trova il diaframma (sotto i pettorali) , e i fianchi. Mentre preme questi punti, la picchia con un bastone.
I genitori assistono a tutto, mentre la ragazza urla dal dolore, piange, prega, chiede aiuto. In un’e-mail a Vice News, Aminat spiega:
Stavo urlando per il dolore e urlava preghiere. Mia madre e mio padre hanno osservato il processo ma non hanno fatto nulla anche se ho chiesto aiuto e ho chiesto loro di fermarlo.
Questo è durato 4 mesi. Una volta a casa, voleva scappare dalla Cecenia, ma non poteva. Il padre doveva iniettarle un farmaco, l’aminazina, il quale è un farmaco anti-psicotico. Le iniezioni erano contro la sua volontà. Il padre la ammanettava, e le legava le gambe con del nastro adesivo. Dopo la puntura, la lasciava in quello stato.
Ha messo le manette e mi ha legato le gambe con del nastro adesivo. Anche la mia bocca è stata chiusa. Mi disse che mi avrebbe trattato come un animale, come una pecora. Dopo l’iniezione dell’aminazina, avrei dovuto dormire in quel modo. Non ha nemmeno scatenato le gambe e le mani .
Una volta finita la “cura”, Aminat ha denunciato i genitori e la clinica psichiatrica. E per la cronaca, la terapia non ha funzionato.
La denuncia e la fuga
Grazie a un’associazione LGBT russa, la ragazza è riuscita a fuggire dalla Cecenia, rifugiandosi in un altro Paese che non è stato reso pubblico per sicurezza. Ma prima della sua fuga, ha contattato il Comitato investigativo federale della Russia, per presentare una denuncia verso i genitori e la clinica.
La sua richiesta è che la Russia indaghi su quanto le è successo, affermando che non è l’unica ragazza che ha dovuto sopportare tutto questo. Alla sua esperienza, si aggiungono anche le torture e le umiliazioni che molte persone hanno dovuto subire nei lager della Cecenia, durante i rastrellamenti.
Dall’inizio di questa persecuzione, sarebbero oltre 200 le persone arrestate e torturate, mentre una ventina sarebbero le vittime, per mano della Polizia o della famiglia.
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