Contro il femminismo, per un nuovo femminilismo

Il femminismo spesso si è tradotto in una riduzione dell'identità al corpo, alla biologia. È ora di rendere più morale la promozione del femminile. Ovunque esso si sia incarnato.

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7 min. di lettura

Sono un ragazzo omosessuale e fino a poco tempo fa ero solito definirmi femminista. Di recente però questa definizione è stata messa alla prova da incontri e circostanze sconfortanti: ho avuto modo di prendere atto che il femminile per cui mi batto non abita necessariamente nei corpi di donna e che le donne possono promuovere invece valori e atteggiamenti tipici del machismo e del patriarcato. D’ora in avanti, mi sono ripromesso, cercherò di ricordarmi che maschile e femminile sono due grandi ambiti valoriali, difficili da specificare ma spesso facili da riconoscere quando li si incontra in gesti, scelte, opinioni. Le donne possono ricorre alla violenza psicologica, possono cercare di mettere paura, di zittire e perseguitare, proprio secondo quegli stessi schemi che nella storia hanno molte volte dovuto subire. Soprattutto quando fanno gruppo, quando si trincerano dietro a ideologie iper-sedimentate e perciò accecate da un rancore antico e spietato. L’idea che cerco di difendere in questo articolo è che troppo spesso il femminismo sia stato praticato con un attaccamento alla biologia, al fatto di avere un corpo biologicamente da donna. Una prospettiva assolutamente insufficiente ormai per la contemporaneità.

MASCHILE E FEMMINILE OLTRE IL CORPO

Mi è capitato qualche tempo fa di entrare alla storica Libreria delle Donne di Milano, in via Pietro Calvi. Come ho messo piede dentro mi sono sentito investito da un gelo che mi ha spiazzato. Quelle donne non volevano un maschio lì dentro. Mi hanno trattato bruscamente, dietro alle loro parole c’era un grande “questo non ti riguarda”. È un piccolo esempio del temperamento di una buona parte del femminismo storico, perlomeno in Italia. Credo allora sia arrivato il tempo di promuovere il femminile inteso come un insieme di valori e significati e simboli, un riferimento ideale che può essere più o meno rappresentato dalle donne. Questi valori, queste inclinazioni sono quelli che nella storia spesso hanno perso, sono stati e sono ancora oggi in minoranza. Cura, vulnerabilità, libera espressione delle emozioni, accoglienza, senso della differenza e della relazione: i valori del femminile sono i valori per eccellenza minoritari, residuali, sotterranei. Definirli – dire cosa sia il “maschile” e cosa il “femminile” – non è scontato, ma certo è che nel nostro modo di parlare e pensare noi facciamo uso quotidianamente di questi due grandi poli valoriali, estetici, simbolici. Le esistenze delle persone sono segnate profondamente da queste due grandi, e a volte ingombranti, presenze. Il sospetto è che, essendo questa distinzione difficile da tracciar con precisione, essa sia stata occultata e che il femminismo storico si sia occupato di uomini e donne sulla base della mera appartenenza genitale. Si tratta di ricercare allora una prospettiva che permetta di “tener dentro” anche il femminile quando si presenta incarnato in corpi diversi da quello delle donne biologiche. Omosessuali, transessuali, intersessuali, crossdresser ma anche uomini eterosessuali: molte sono le identità che possono e devono fronte comune non contro gli uomini, ma contro i valori del patriarcato, del machismo. Bisogna insomma evitare di difendere una prospettiva in cui si promuove la donna in quanto mera determinazione biologica.

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SUL MACHISMO DELLE DONNE

Ci sono donne che – consapevolmente o inconsapevolmente – incarnano con il loro comportamento i valori maschilisti e patriarcali. È il caso, ad esempio, delle donne eterosessuali quando si auto interpretano secondo i valori dominanti, ma anche delle donne lesbiche quando ambiscono a valori, atteggiamenti, modi di fare maschili, virili. Più volte mi è capitato di essere aggredito da ragazze e donne lesbiche, e in quelle occasioni mi sono sentito travolto da una violenza frutto di una fascinazione per lo stile patriarcale e repressivo di condurre i rapporti e il confronto con l’altro. Una donna che pratica i valori tipici del maschilismo non può essere un modello di femminismo. Anche se ha l’utero. L’alternativa sarebbe ammettere che si tratta di pura e semplice difesa dell’appartenenza biologica, un piano quindi non qualificato moralmente. Il mio intento è invece proprio quello di portare ad un livello pienamente morale la difesa del femminile. Esistono casi – che ho sperimentato in prima persona – di discriminazione da parte delle femministe nei confronti degli uomini, anche se omosessuali e quindi estranei alla cultura e ai benefici del maschilismo. Per certe femministe, soprattutto vecchia maniera, gli uomini, sebbene omosessuali, son nemici. E questo è profondamente sbagliato e ingiusto.

UNA NUOVA PAROLA: IL “FEMMINILISMO”

Io preferisco pensare esista una sorta di piano trasversale – mi si perdoni questa sorta di slancio metafisico – che attraversa i corpi, le forme della cultura, le relazioni. Propongo allora una nuova parola: femminil-ismo, un neologismo che indichi la promozione e la lotta per il femminile, un insieme di significati e attitudini che certo molto spesso nella storia è stato incarnato dalle donne ma che oggi deve essere liberato dalla morsa della biologia. Sarebbe il caso di provare a introdurre questo nuovo termine – femminilismo, femminilista: io mi dichiarerò femminilista, per smarcarmi ad un tempo dalle femministe imbevute di patriarcato e incapaci di reggere le sfide della contemporaneità, continuando rivendicare la differenza valoriale che mi è cara. Il femminismo ha forse fatto il suo tempo, soprattutto nei nostri Paesi più o meno civili. Promuoviamo i valori femminili indipendentemente dal corpo che li esprime. È peraltro assai interessante il fatto che una delle prime origini del termine “femminismo” si trovi all’interno della letteratura medica francese, in cui veniva usato per riferirsi ad un indebolimento del corpo maschile. Il femminismo – o femminilismo, come appunto preferirei si dicesse – appare già all’inizio come scandalosa contaminazione, come presenza del femminile in un corpo in cui non avrebbe dovuto esserci.

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QUALCOSA CHE EMERGE DAI CORPI

Ormai ci possiamo permettere, quantomeno qua in Occidente, di non ridurre più ai corpi e all’anatomia la lotta per il progresso e la fioritura culturale. Maschile e femminile non sono mere costruzioni culturali (come ad esempio vorrebbe uno dei filoni mainstream delle teorie queer, ispirato alle teorie di Judith Butler): c’è un evidente, stratificato, ancestrale, riferimento ai corpi, alle differenze biologiche. Il maschile e il femminile certo nascono da lì, dalla nostra umanità incarnata, ma la cultura ha rinforzato e reso autonomi questi grandi insiemi di forme, valori e significati. Le donne stesse possono subire e spesso subiscono la fascinazione per i valori maschili, come si vede bene anche semplicemente prestando attenzione all’industria dell’intrattenimento e della cultura: i prodotti e le opere femminili, “al femminile” non diventano mai mainstream, perché gli uomini non guardano “quel tipo di cose”, mentre le donne s’appassionano e contribuiscono al successo di storie in cui è il maschile ad essere al centro della scena. Per amor d’onestà, va riconosciuto che oggi film e serie di successo hanno a volte co-protagoniste femminili, ma queste sono comunque inserite all’interno di storytelling al maschile.

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Tornando alla questione centrale del corpo: credo che tra maschile/femminile e corporeità ci sia un rapporto piuttosto ambiguo. Penso che l’approccio migliore per provare ad orientarsi tra questi temi sia quello del cosiddetto “emergentismo”. Maschile e femminile paiono ormai sempre più come poli simbolico-culturali sorti dai corpi, ma che non possono essere ridotti al corpo, proprio come molti altri aspetti dell’identità personale, che hanno basi biologiche ma che non possono essere ridotti a tali basi (una persona non coincide con il suo cervello anche se senza il suo cervello smetterebbe di esistere). Maschile e femminile ritengono siano sfere autonome, indipendenti dai corpi ed è per questo che finiscono col tracciare un orizzonte fatto di rapporti e relazioni più ampi e inclusivi di ciò che un certo femminismo tradizionale vorrebbe.

IL FEMMINISMO COME TRADIZIONALISMO

Quello che mi sembra si possa dire con un certo margine di ragionevolezza è che non è affatto detto che l’operazione del femminismo vada nella direzione di una valorizzazione e promozione del femminile. Ciò che intendo criticare è soprattutto il femminismo come ideologia: un’ideologia che, ricorrendo ad una visione fissista o addirittura naturalista, inchioda le identità ai corpi, ai genitali. Ci sono correnti più attuali, più legate ai concetti di queer e di fluidità (di genere) che sembrano essere più utili per recepire le richieste e le sfide del magmatico panorama contemporaneo. Le donne possono essere ingiuste, violente, immorali, mostruose. Esattamente come gli uomini. Si punti piuttosto alla promozione del piano valoriale che si traduce anche in opere concrete – libri, figure storiche, movimenti culturali – minoritari, che non sono diventati di massa, istituzionali. E vale anche oggi, con i libri, film, serie tv femminili, che raccontano il femminile. Troppo spesso il femminismo si è concretizzato in circoli chiusi e ostili agli uomini – ostili anche agli uomini omosessuali, che sono biologicamente uomini ma che non si riconoscono nei valori mainstream del maschile. Il femminismo è spesso stato una prospettiva esclusiva, escludente, come se reagendo al maschilismo abbia finito per produrre un altro, speculare tipo di privilegio. Occorre trovare invece una prospettiva più accogliente in grado di valorizzare il femminile ovunque si trovi.

C’è poi anche una componente tradizionalista e dura a morire nel femminismo. Sembra che spesso il femminismo sia stato (e sia) la difesa del passato e del presente. Ovvero: certo le femministe hanno giustamente preteso la correzione dei ruoli tradizionali, ma restando di fatto all’interno del medesimo schema. Uno schema binario, semplice, netto e biologico. È difficile pensare il nuovo e se la preoccupazione del femminismo è che i soprusi del passato – anche del passato più recente – non accadano più, concentrandosi (solo) su questo spesso esso rischia di non vedere i “nuovi” fenomeni a cui bisogna provare, almeno provare, a rispondere. I nuovi fenomeni che sono vite, esistenze concrete, portatrici di identità non più cementate nella biologia.

La lotta contro il patriarcato e i rapporti di potere basati sul genere è grande, è inclusiva. Lo deve essere. Il femminismo per come l’abbiamo conosciuto ormai rischia di non capirci più niente: la società a venire non saprà più con la certezza a cui eravamo abituati in passato cosa c’è nelle mutande della gente. Il futuro è incerto, per fortuna. Il femminismo – dopo il ruolo centrale che in passato ha assunto per la conquista di diritti e parità, è ora del tutto inadatto a reggere la questione centrale del nostro tempo: ovvero la declinazione personale delle grandi (vecchie) categorie identitarie, il riconoscimento e la celebrazione delle sfumature e delle differenze che in ognuno si combinano in modo singolare, individuale, unico. Il femminismo risponde alla staticità aggressiva del patriarcato con un’analoga rigidità, che non lascia spazio alla contraddizione – che è poi la nota di fondo dell’esistenza tutta – e a tutte le identità amorfe o polimorfe che si muovono in una spazio di libertà sempre più inaudito e che oggi possono finalmente aspirare a una mutevolezza impossibile da controllare, trattenere, normare.

Viva il femminile, ovunque esso affiori.

E viva il femminilismo, che permette di vedere più realtà – e non meno – di quella che pensavamo di conoscere.

 

 

Immagine di copertina: Maisie Cousins, Finger, 2014

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Miss_Donita 7.11.16 - 7:08

Eccalla, mi mancava l'ennesimo uomo che mi dicesse come deve essere il femminismo e come dovrei comportarmi in quanto donna. Mi mancava l'ennesimo uomo che, per interesse, riprendesse i temi del Dolce Stil Novo (1280 eh, sta popo avanti) e con finta pacatezza e mal celato vittimismo, in sostanza, mi dicesse di tornare a pulire il culo a bambini e anziani. Donne è arrivato l'arrotino!

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Ruby Rossi 7.11.16 - 6:56

"cura, vulnerabilitá ..." si chiama neurosessismo, consiglio Cordelia Fine sul tema. Un articolo inqualificabile che ripropone lo stereotipo trito e ritriti del prendersi cura come caratteristica intrinsicamente femminile. A mio parere l'autore si sta avvicinando o é giá dentro il "filone" MRA, quanto di peggio vi sia in circolazione. Seguo con interesse questo sito, ma ancora un articolo del genere e lo cestino. Il "femminilismo" :) potete cucinarlo a casa vostra.

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Steve Pearl 21.10.16 - 8:03

Che ci sia bisogno di un'attualizzazione del femminismo non vi è dubbio. Cosi come è fuori di dubbio che ci debba essere un'eveluzione del movimento LGBT che si comporta esattamente allo stesso modo del movimento femminista. Smetterei anche io di parlare di femminismo, machismo, gayismo... sarebbe meglio parlare di merito, di capacità di saper fare e saper far accadere le cose. Eviterei anche di parlare di femminilismo perchè altrimenti dovremmo parlare anche, alla stessa stregua di mascolinismo... e chissà di quali altre cazzate.

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Giovanni Di Colere 20.10.16 - 19:53

Questo articolo riflette esattamente il problema di questo stesso sito: il five millions club. La realtà è un po' diversa dalla visione dei soliti 5 che discutono sui social guardano la tv sono militanti di questo partito o quel movimento o portano avanti questa o quella ideologia che scrivono o leggono libri articoli o siti web . Gli uomini e le donne sono quello che sono con difetti (molti) e pregi (ahimè pochi) e spesso comuni. Ma la natura umana è quella e non è paternalismo machismo o misoginia. È la realtà degli sltri 55 milioni di Italiani (o 295 milioni di statunitensi) che sono la maggioranza silenziosa.

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fabulousone 20.10.16 - 19:04

Bellissimo articolo. Lo trovo interessante e condivisibile, a maggior ragione date le posizioni retrograde, moraliste e cagnesche che hanno preso certe donne che si proclamano femministe. Trovo assurdo infatti appiattirsi sui genitali con cui si nasce, trattare l'uomo come una sorta di nemico, trattare la legge come una sorta di clava da usare per schiacciare la libertà, i sogni e i progetti delle persone in nome di una ideologica 'tutela delle donne', trattare le donne stesse come delle specie di bambine, individui incapaci di gestire se stessi e quindi vittime per definizione da proteggere a suon di divieti, proibizioni. Io poi sul discorso dei termini sono del parere che si dovrebbe parlare di eguaglianza tra le persone a prescindere dal genere, molto semplicemente; né femminil-ismi, né mascolin-ismi, né altri -ismi vecchi o nuovi. Eguaglianza. Sociale e legale. Che ogni persona possa finalmente essere libera di esprimere in pieno se stessa e fare ciò che vuole col proprio corpo, con la propria vita, senza pregiudizi e odiose, paternalistiche, limitazioni.

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