La Corte costituzionale, riunita ieri in camera di consiglio, ha esaminato le questioni di legittimità sollevate dalla Cassazione sull’impossibilità di riconoscere in Italia, perché in contrasto con l’ordine pubblico, un provedimento straniero che attribuisca lo stato di genitori a due uomini italiani civilmente che abbiano fatto ricorso alla tecnica della maternità surrogata. La doppia questione è stata dichiarata inammissibile.
La prima, sollevata dal Tribunale di Padova, relativa alla tutela da accordare al bimbo di due donne, nato a seguito di fecondazione eterologa compiuta all’estero, nel caso in cui la coppia entri in crisi e la madre partoriente, legalmente riconosciuta, rifiuti di prestare il consenso all’adozione da parte della ex compagna, madre c.d. intenzionale; la seconda, sollevata dalla Corte di cassazione, relativa alla riconoscibilità in Italia, come figlio di due uomini uniti civilmente, di un bambino nato all’estero a seguito di gestazione per altri (o ‘surrogazione di maternità’).
Con riguardo alle due mamme, come riportato da Avvocatura per i Diritti LGBTI – Rete Lenford, la Consulta ha dichiarato inammissibile la questione, reputando di non poter intervenire in assenza di una disciplina applicabile al caso concreto, ma rivolgendo“un forte monito al legislatore affinché individui urgentemente le forme più idonee di tutela dei minori, anche alla luce delle fonti internazionali ed europee”. A quasi 5 anni dalle Unioni Civili, con annesso stralcio della stepchild adoption, l’ennesimo appello affinché sia la politica tutta ad intervenire.
Anche la questione relativa al riconoscimento dei due papà è stata dichiarata inammissibile e la Consulta, pur ribadendo il divieto in Italia di gestazione per altri, ha rilevato che l’attuale quadro giuridico non assicura piena tutela agli interessi dei bambini nati con questa tecnica. La Corte costituzionale, reputando prospettabili differenti soluzioni, ha ritenuto allo stato di non poter intervenire, ma ha anche affermato la necessità di un intervento del legislatore.
L’avv. Vincenzo Miri, presidente di Avvocatura per i diritti LGBTI – Rete Lenford, dichiara: “Attendiamo di leggere le motivazioni delle due sentenze. Già nella sentenza n. 230 del 4 novembre 2020 la Consulta, occupandosi dei bimbi di due mamme, aveva statuito che la tutela offerta dall’adozione presenta gravi limiti e che, già oggi, la Costituzione consente il riconoscimento pieno della omogenitorialità. Oggi, la Consulta va oltre e, ritenendo necessario in entrambe le vicende un intervento del legislatore, nel caso delle due mamme rivolge anche un ‘forte monito’ al legislatore affinché intervenga ‘urgentemente’. Come affermiamo da anni, il legislatore non può più rimanere in silenzio, continuando a ignorare la tutela piena e reale delle famiglie arcobaleno”. “Avvocatura per i diritti LGBTI – Rete Lenford continuerà a battersi, oltre che nelle aule di giustizia, per un intervento legislativo che ponga finalmente termine a incertezze, discriminazioni e vuoti di tutela, per la piena dignità sociale e giuridica di tutte e tutti”.
Monica Cirinnà, senatrice PD, ha giustamente parlato di “importante presa di posizione” da parte della Corte. “È necessario e urgente dare una risposta e piena tutela alla bambine e ai bambini delle famiglie arcobaleno. E a farlo deve essere il legislatore. Ancora una volta, la Corte “mette in mora” il Parlamento: è successo nel caso Cappato/Dj Fabo sul fine vita, succede oggi. Leggo le parole di monito della Corte e avverto forte la responsabilità: come dico spesso, la politica non può ostinarsi a decidere di non decidere. Con coraggio, è davvero il momento di aprire una discussione – seria, efficace, non ideologica – per arrivare a una soluzione giuridica sulla base delle due sentenze della Corte, che aspetto di leggere. Quel che è certo, è che sui diritti non si può aspettare“.
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