Cantante (nella band dei 3 Teens Kill 4), scrittore, attivista per i diritti delle persone affette da AIDS, fotografo, videomaker, pittore (le sue opere sono oggi presenti nelle collezioni del MoMa e di altre importanti istituzioni museali). Questo e molto altro fu David Wojnarowics, un’artista che, con il suo lavoro creativo inserito in una dimensione personale e fortemente politica, riuscì a diventare un idolo, una star, seppur non convenzionale.
David fece assai rumore in un’America bigotta e conformista.
La sua vita complicata (fu stuprato, rapito, abbandonato in un orfanotrofio, costretto a vivere per strada e prostituirsi) emerge dalle sue opere con un’espressività senza precedenti, sbalorditiva. L’alienazione di un’artista ai margini della società è, in particolare, il filo conduttore delle sue opere.
È attraverso il racconto di sé stesso che David riuscì a dare un tono fortemente politico a ciò che faceva. Lottò senza sosta contro il conformismo, l’avidità delle multinazionali, la violenza del capitalismo, l’omofobia e i limiti posti alla libertà individuale dai governi repressivi.
Molte delle opere di Wojnarowicz mescolano immagine, autobiografia e attivismo politico, tenerezza e rabbia.
Omosessuale, David era profondamente impegnato per la comunità LGBTQIA e diede il suo supporto ad ACT UP, facendo il possibile per informare la gente sulla pandemia da AIDS, malattia che aveva colpito anche lui e che lo portò ad una morte prematura, nel 1992, all’età di 38 anni.
Si attirò le antipatie e gli attacchi dell’America conservatrice, perbenista e moralista. Attacchi che ancora oggi, a 30 anni dalla sua morte, persistono (un’esposizione recente, allo Smithsonian’s National Portrait Gallery di Washington, ha attirato minacce di scomunica e ha costretto l’istituzione museale ad abbassare il capo).
Qui di seguito le opere principali dell’artista, molte delle quali sono da considerarsi arte queer. Le opere che, in particolare, meritano di essere conosciute anche qui in Italia, dove dell’artista se ne parla ancora fin troppo poco.
In questo articolo
- 1 “Arthur Rimbaud a New York” – 1979
- 2 Peter Hujar Dreaming/Yukio Mishima: St. Sebastian – 1982
- 3 Fuck You Faggot Fucker – 1984
- 4 “A Fire in My Belly” – 1986/1987
- 5 “Untitled (Hujar Dead)” – 1988
- 6 “Untitled (Falling Buffalo)” – 1988/89
- 7 “Untitled (One day this kid …) – 1990
- 8 “Untitled (Face in Dirt)” – 1990
“Arthur Rimbaud a New York” – 1979
La serie di fotografie “Arthur Rimbaud a New York” fu realizzata nel 1979 con una macchina 35 mm e, seppur la maggior parte delle persone credano che sia sempre l’artista ad indossare la maschera del poeta maledetto e queer Arthur Rimbaud, furono anche alcuni dei suoi amici ad interpretare quel ruolo.
La serie mostra Rimbaud che prende la metropolitana, che si masturba nel letto, che passeggia per i pontili dell’Hudson River (noti per il cruising all’aperto) ed in altre attività quotidiane svolte nella metropoli, soprattutto nei luoghi frequentati da Wojnarowics insieme al suo compagno e amico fidato Peter Hujar, fotografo e artista anch’egli.
Wojnarowics carica di significati e simbolismo questo progetto fotografico. Utilizza la figura del poeta maledetto come l’unico modo per intervenire sulla realtà, raccontando la propria vita e il rapporto emotivo che lo lega alla New York di fine ’70.
Assume l’identità di Rimbaud evidenziando i paralleli nelle loro vite: la violenza subita nella loro infanzia e adolescenza, la sensazione di essere negata la libertà in quanto omosessuali, il desiderio di vivere lontano dall’ambiente borghese nel quale sono cresciuti.
Le parole del giornalista Holland Cotter su New York Times riassumono bene il significato dell’opera: “L’immagine di Rimbaud come un ragazzaccio solitario – che spara, si masturba, si aggira per Times Square – incarnava la prima visione di Wojnarowicz di ciò che un artista dovrebbe essere: un infiltrato di guerriglia, disgregatore di quello che chiamava il “mondo pre-inventato” che tutto sommato è normale, un mondo di falsi confini, gerarchie recintate e controllo delle leggi interne”.
Peter Hujar Dreaming/Yukio Mishima: St. Sebastian – 1982
Famosi sono anche i dipinti di David Wojnarowics.
“Peter Hujar Dreaming / Yukio Mishima: San Sebastian” evoca immagini omoerotiche oniriche.
Peter Hujar, che ricordiamo essere stato mentore e amante di David, nonché famoso fotografo di New York, è rappresentato nel dipinto mentre dorme. La sua bocca è leggermente aperta, come se stesse dormendo profondamente. Sopra e dietro di lui ci sono i contorni di un torso muscoloso trafitto da frecce: una rappresentazione di San Sebastiano (raffigurato come un bel maschio quasi nudo, il santo divenne associato alla comunità gay alla fine del XIX secolo. È considerato il primo maschio “pin-up”).
Sul petto del santo è presente un piccolo maschio asiatico, che si masturba. Rappresenta l’autore giapponese Yukio Mishima (1925-1970), un omosessuale dichiarato. Mishima descrive nel suo libro “Confessioni di una maschera” come ebbe la sua prima erezione ed eiaculazione mentre osservava il dipinto di San Sebastiano di Guido Reni (1575-1642) a Palazzo Rosso di Genova . Il dipinto di Reni era anche uno dei preferiti del poeta e drammaturgo irlandese omosessuale Oscar Wilde (1854-1900).
Un’aureola, simile a una nuvola, circonda le figure del dipinto “Peter Hujar Dreaming/Yukio Mishima: St. Sebastian” attraverso le quali sono a malapena distinguibili delle mappe. Nell’iconografia di Wojnarowicz, le mappe possono alludere sia all’ordine della società che alla separazione arbitraria dei domini. E, quando queste mappe vengono riconfigurate o tagliate, implicano un mondo nel caos e nella confusione.
Uno sfondo scuro che circonda l’aureola completa il dipinto mentre una spolverata di punti bianchi punteggia la superficie come perforata da colpi di freccia.
Fuck You Faggot Fucker – 1984
Quattro fotografie in bianco e nero, acrilico e paper collage su Masonite sono i materiali utilizzati dall’artista per quest’opera, uno dei primi lavori di Wojnarowicz ad affrontare direttamente l’omofobia e ad abbracciare l’amore tra persone dello stesso sesso.
“Fuck You Faggot Fucker” è un’opera rivelatrice della versatilità con cui David utilizzava iconografie e materiali differenti. L’assemblaggio delle immagini caratterizza gran parte del lavoro dell’artista ed è sempre ricco di significati.
Il titolo di questo capolavoro deriva da un pezzo di carta contenente un insulto omofobo che Wojnarowicz ha trovato in strada, probabilmente una pubblicità antigay che girava in città in quell’anno. David decise di incollarla sotto l’immagine centrale, rappresentante due uomini che si baciano, due archetipi che rappresentano una moltitudine di storie personali.
Le altre fotografie presenti nell’opera sono state scattate ai moli (quelli dove avveniva battuage gay e che David frequentava) e in un edificio abbandonato sull’Avenue B, dove Wojnarowicz include anche sé stesso ed i suoi amici John Hall e Brian Butterick.
Le mappe sullo sfondo, come nell’opera che abbiamo descritto precedentemente, rappresentano una versione della realtà che la società riteneva ordinata e accettabile. Come si può notare sono tagliate e confuse tra loro per indicare l’infondatezza di tale ordine, il caos.
“A Fire in My Belly” – 1986/1987
“A Fire in My Belly” è il testamento video (incompiuto) dell’artista, che ha suscitato le maggiori polemiche da parte dell’America bigotta di inizio anni ’90.
Il video, di circa 20 minuti, è un montaggio sincopato di riprese svolte nelle strade del Messico e dal taglio surrealista, erotico. Si tratta di un distillato di rabbia e angoscia verso la società statunitense degli anni ’80 in piena pandemia di AIDS, la cui idea nasce in seguito alla morte dell’amato Peter Hujar, deceduto proprio a causa di quella malattia, che anche David portava in corpo.
La sequenza che, in particolare, ha creato maggior scalpore e che, anche negli anni successivi alla morte dell’artista ha portato alla censura dell’intera opera dell’artista, è quella che mostra un crocifisso cosparso di formiche. David fu accusato di blasfemia.
L’intento principale del video è ovviamente quello di mostrare la sofferenza ed il calvario vissuti dalle vittime dell’AIDS e la blasfemia non c’entra praticamente nulla.
Nel 2010, quasi 20 anni dopo la morte di David Wojnarowics, lo Smithsonian Portrait Gallery, su influenza delle istituzioni religiose, ha censurato l’opera. Un atto di censura che ha scatenato manifestazioni in tutto il mondo.
“Untitled (Hujar Dead)” – 1988
“Untitled (Hujar Dead)” è una serie di fotografie del fidanzato Peter Hujar sul suo letto di morte, nel 1987.
David ha liberato la stanza e ha utilizzato una fotocamera Super 8 per filmare una panoramica del corpo di Hujar. Ha scattato 23 fotografie delle mani, dei piedi e del viso di Hujar. 23 come il numero di coppie cromosomiche in una cellula umana e che simboleggiano la coscienza dell’uomo.
Queste fotografie sono toccanti e contengono una cruda verità. La morte di Hujar non era inevitabile: era legata alle scelte di una società che non aveva fatto abbastanza per le persone malate di AIDS.
Su alcune di queste fotografie si leggono parole piene di rabbia e che portano con sé un grande desiderio di vendetta: “Porto con me questa rabbia come un uovo pieno di sangue…”
Sono questi sentimenti, diventati più intensi dopo la morte del compagno, che permetteranno all’artista di creare le più importanti opere della sua carriera e a fargli ottenere i maggiori riconoscimenti.
Il cambiamento di umore di David trasformò le sue opere in qualcosa di potente, cupo ed elegante che pochi artisti contemporanei avevano avuto modo di creare.
Non c’è più il gioco e l’ironia di “Arthur Rimbaud a New York”.
“Untitled (Falling Buffalo)” – 1988/89
Untitled (Falling Buffalo) di David Wojnarowicz è una delle opere più note dell’artista e forse una delle risposte artistiche più potenti alla crisi dell’AIDS degli anni ’80.
L’opera raffigura un branco di bufali che cade da un dirupo verso la morte. Si tratta di una fotografia di un diorama scattata al National Museum of Natural History di Washington, DC, e raffigura una delle prime tecniche di caccia dei nativi americani, il cosiddetto salto del bufalo.
Attraverso l’appropriazione di questa immagine grafica, l’artista evoca sentimenti di sventura e disperazione, rendendo l’opera molto provocatoria.
Realizzata sulla scia della diagnosi di sieropositività dell’artista, l’immagine di Wojnarowicz traccia un parallelo tra la crisi dell’AIDS e il massacro di bufali in America nel XIX secolo.
Da allora questa fotografia è stata utilizzata diverse volte. Appare, ad esempio, sulla copertina del singolo “One” degli U2.
“Untitled (One day this kid …) – 1990
Questo capolavoro, come tanti altri suoi, è diventato un simbolo dello spirito di protesta, lotta e resistenza degli anni Ottanta. E a distanza di oltre 30 anni rimane una dichiarazione potente contro l’omofobia, l’odio, le persecuzioni e le repressioni.
“One day this kid” fu disegnato per una brochure che accompagnava una sua retrospettiva del 1990 “Tongue of Flame”.
Quando realizzò quest’opera, David sapeva già di avere l’AIDS, che gli era stato diagnostico qualche tempo prima. Non viene fatta menzione della sua malattia. Il virus per lui è la società stessa nella quale è cresciuto.
L’immagine del bambino, sovrapposta ai blocchi di testo, è lo stesso Wojnarowicz, all’età di circa 9 anni. Nel testo che circonda l’immagine viene descritto il futuro di questo bambino, un futuro segnato da aggressioni e omofobia.
Ecco alcune delle parole che si leggono:
“Un giorno questo ragazzo diventerà più grande. Un giorno questo ragazzo farà qualcosa che induce gli uomini che indossano le uniformi di preti e rabbini, uomini che abitano certi edifici in pietra, a chiederne la morte. Un giorno i politici emaneranno leggi contro questo ragazzo. Un giorno le famiglie forniranno false informazioni ai loro figli e ogni bambino trasmetterà quelle informazioni generazionalmente alle loro famiglie e quelle informazioni saranno progettate per rendere l’esistenza intollerabile per questo bambino …”
“Untitled (Face in Dirt)” – 1990
Questa fotografia è stata scattata alla fine di maggio 1991 al Chaco Canyon nel New Mexico, mentre Wojnarowicz e la sua amica fotografa Marion Scemama si trovavano in viaggio nel sud-ovest americano.
Per la fotografia, David ha scavato una buca nel terreno, così che solo una parte del viso fosse visibile. L’immagine vuole essere metafora dell’AIDS, che stava gradualmente consumando l’artista.
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