Questa storia l’abbiamo appresa da una lettera.
È la storia di un ragazzo, appena 21enne, che chiameremo Filippo P.
Filippo è l’ultimo di 6 fratelli, vive in provincia di Ragusa, a Ispica.
La sua famiglia è contadina, possiede solamente la casa in cui abita, e un campo da coltivare.
A Ispica, vive anche un distinto signore, sulla cinquantina, elegante e di origine nobiliare, si dice. Tanto che viene chiamato da tutti il Marchese.
Il cognome inizia per B. Marchese B, lo chiameremo.
Lo avete già capito: tra il giovane ragazzo di umili origini e il distinto e raffinato gentiluomo nasce qualcosa.
Non sappiamo come, non sappiamo quando, ma in questo piccolo paese nasce una storia tra due uomini, uno giovanissimo, l’altro maturo, quasi anziano. Non qualcosa di fugace o di estemporaneo, una vera storia.
Ma tra i due chi prende per mano l’altro non è, come ci si aspetterebbe, il più esperto.
È Filippo infatti che porta nella relazione lo zeitgeist, spirito del tempo moderno, si potrebbe dire, nella coppia.
Una maggiore disinvoltura. Quella acerba ma matura consapevolezza – in questo caso della propria omosessualità – che in fondo è più facile riconoscere nella limpidezza della gioventù, nei primi inequivocabili innamoramenti, che dopo una vita passata a dissimulare.
Perchè la storia di Filippo P. e del Marchese B., suo amato, si svolge nel 1938, durante la fase crepuscolare del fascismo. Ma potrebbe svolgersi anche oggi. O forse domani.
Attenti: nessuna legge condanna esplicitamente l’omosessualità in quanto tale durante il Fascismo, anzi fu proprio il regime ad abrogare la legge contro l’omosessualità contenuta nel codice Rocco del 1927.
Perchè anche solo avere una legge contro l’omosessualità avrebbe messo nero su bianco il fatto che il valoroso Popolo Italiano avesse tra le sue fila degli invertiti. E questo non poteva essere accettabile, anche solamente da ammettere a parole, figuriamoci da inserire nero su bianco in una legge Fascista.
Pertanto Filippo viene deportato non in quanto omosessuale, ma “perché socialmente pericoloso nei riflessi della moralità pubblica e sanità della stirpe”.
Il confino è ad Aliano, paese in provincia di Matera.
E da lì, nei 3 anni passati tra i Sassi sperduti, Filippo scrive le sue lettere all’amato Marchese rimasto a Ispica.
Infatti al gentiluomo non viene ordinato di andarsene. Viene semplicemente ammonito, senza ulteriori conseguenze.
Passano 3 anni, 3 anni di lettere e confino. Nel 1941 Filippo ha una dispensa dalla pena, in quanto malato di cuore.
Può finalmente far ritorno ad Ispica.
Ma non arriva mai al paese di origine. Si ferma a fare un bagno a Santa Maria del Focallo. Un bagno che non finisce.
Accade qualcosa, o forse lo fa accadere lui stesso. Come scrive in una delle lettere.
È il 1941. Ma potrebbe essere oggi. O forse domani.
Questa storia verrà raccontata dall’attore Paolo Briguglia il 4-5 Agosto durante il Giacinto Festival a Noto, Ragusa, diretto da Luigi Tabita.
Progetto di Agedo Torino, curato dal professor Crisoforo Magistro, in collaborazione con Agedo Ragusa.
Con la presenza di:
Sala Dante, Teatro Tina Di Lorenzo, ore 10:30-13-17-23.
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