“Accatto’, come lo vuoi ‘l trasporto funebre?” “Con tutti gli amici dietro che ridono! E il primo che piagne paga da bere a tutti”.
Lo immaginiamo così, Franco Citti, nella sua Fiumicino, che ride. E guai se qualcuno dei suoi amici versa una lacrima come hanno fatti in molti, oggi (è morto in povertà, aiutato dalla legge Bacchelli). Lui è già lì con Pier Paolo, se la ride, magna e beve. Si chiamava Vittorio Cataldi ed era davvero Accattone (“Franco e Vittorio si assomigliano come gocce d’acqua, lui è Accattone” diceva Pasolini”), esordio folgorante, film fondativo, già intriso di quella religiosità, quel senso del sacro, quella purezza di sguardo che era l’anima del cinema di Pasolini. Assistente alla regia di Accattone fu Bertolucci, la fotografia era firmata da Tonino Delli Colli, le musiche sono di Bach.
Ah, la Scucchia (Giovanni Orgitano) che apre il film con quel mazzone di fiori, quel povero Cristo popolano a suo modo queer, che annuncia “la fine del mondo”, il vero sottoproletario romano che è la quintessenza di tutto il lavoro pasoliniano. Franco Citti, nel prisma arcobaleno delle sue interpretazioni, ne ricostruisce le varie sfaccettature, dal Carmine di Mamma Roma al cannibale di Porcile, da ser Ciappelletto nel Decameron a Satana in persona ne I racconti di Canterbury.
C’è ancora chi lo confonde col fratello Sergio, muratore di borgata come lui, collaboratore alla sceneggiaturà di Salò, poi regista (I magi randagi, Vipera, Fratella e sorello, nel 2004, un anno prima di morire). Fu lui a presentargli Pasolini in una pizzeria.
La notizia del decesso per ictus l’ha data Ninetto Davoli, ultimo ragazzo di vita pasoliniano vivente, quelle borgate che già, in nuce, si stavano borghesizzando – oggi quel clima è presente in Non essere cattivo di Claudio Caligari, uscito postumo -, quel sottoproletariato “col senso quasi di non esistere che cova dentro di sé” come scriveva PPP. “La morte di Franco è un dolore enorme – ha dichiarato Davoli -. Abbiamo condiviso gran parte dei nostri film, ma anche tanta parte dell’esistenza“.
Franco Citti ha sempre definito Pasolini “uomosessuale”: di lui disse che era “un caso di purezza. Impossibile tradirlo”. Fece anche teatro – Carmelo Bene lo volle per Salomé – e fu infine regista, del dimenticato Cartoni Animati, diretto col fratello, in cui recita con Fiorello.
Nella poesia Profezia, Pasolini scrive: “Ecco i vecchi fratelli, coi figli e il pane e formaggio! […] Essi sempre umili – essi sempre deboli – essi sempre timidi – essi sempre infimi – essi sempre colpevoli – essi sempre sudditi – essi sempre piccoli – essi che non vollero mai sapere, essi che ebbero occhi solo per implorare”. Come nell’incontro con l’ingegnere in Cartoni Animati.
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