39 anni fa la prima marcia a favore dei diritti LGBT+ a Washington DC. Furono presenti 125.000 persone.
La National March on Washington for Lesbian and Gay Rights. Così era stato chiamato il primo Gay Pride della storia LGBT+, nella capitale degli Stati Uniti d’America. L’appuntamento del 14 ottobre 1979 è stato il terzo tentativo di organizzare un evento dedicato totalmente alle persone gay, bisessuali, lesbiche e transessuali. Il fine di tale marcia era quello che ormai conosciamo tutti e che da quasi 40 anni si richiede ogni anno a gran voce: uguali diritti.
Difatti, prima di questa data ci furono altri due tentativi, sempre rimandati. Il primo avvenne nel 1973 a Urbana-Champaign , nello stato dell’Illinois. Le tensioni che si crearono tra associazioni LGBT+ e istituzioni locali fecero desistere i primi, che posticiparono a data da definirsi un evento. Il secondo tentativo fu a Minneapolis, a metà novembre del 1978. Questa volta, il dissenso interno al direttivo fece desistere gli organizzatori, che annullarono tutto. La morte di Harvey Milk, avvenuta il 27 novembre 1978, “aiutò” la comunità a farsi sentire, organizzando prima un dibattito a Philadelphia dal 23 al 25 febbraio 1979, arrivando poi alla parata vera e propria, il 14 ottobre appunto, confermata nel corso di una conferenza all’università di Houston a luglio dello stesso anno. Il 1979, inoltre, era un anno significativo: 10 anni prima, si erano svolti i moti di Stonewall (28 giugno 1969).
Le conseguenze del primo Gay Pride
I tre giorni di workshop, conferenze su temi specifici legati al mondo gay e la conseguente marcia aiutarono l’intera comunità LGBT+ ad aprirsi, facendo nascere associazioni nelle maggiori città e iniziare una battaglia a livello nazionale, e non solo locale come era stato fino a quel momento.
Un evento importante avvenne il lunedì dopo, 16 ottobre. Era l’ora del Constituent Lobbying Day, che aveva il compito di far interessare la politica ai temi LGBT+. Gli organizzatori riuscirono a incontrare una cinquantina di senatori e circa 150 deputati della Camera dei Rappresentanti.
Credits: Seattle Times
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