Altro che Superman gay. Non potrebbe essere più asessuato il nuovo Uomo d’Acciaio di Superman Returns firmato Bryan Singer che arriverà in Italia a settembre, quinta trasposizione cinematografica del fumetto Marvel creato nel 1939 dai ventiquattrenni Joe Shuster e Jerry Siegel, quasi vent’anni dopo il goffo Superman IV di Sidney J. Furie col fedele Gene Hackman nel ruolo del perfido Lex Luthor. E dire che le premesse per una virata queer c’erano tutte: un regista omosessuale dichiarato, Bryan Singer, che nel 1995 era apparso al Torino Film Festival con tanto di burroso fidanzato orsetto; una serie di benevole dichiarazioni progay (il protagonista etero Brandon Routh ha detto di «essere felice che Superman sia diventato un’icona omosessuale: è importante che tutti amino lo spirito di Superman»); persino un attore bisex nel ruolo dello storico ‘villain’ Lex Luthor, il magnetico Kevin Spacey con folta collezione di parrucche per potersi mascherare durante i colpacci: qui impera l’ossessione per i cristalli, con mira perversa di eliminare il supereroe con la leggendaria kryptonite e creare un continente di roccia autorigenerante che si sovrapponga, distruggendola, all’intera America del Nord.
Questo nuovo Superman, nonostante un certo fascino del kuros moro Brandon Routh, ex modello statuario nato in Iowa (1.89 cm di altezza), con sopracciglione folto e sguardo profondo mediamente espressivo – proprietà per nulla scontata in film come questo – non ammicca e non seduce: certo, l’occhialuto Clark Kent si strugge ancora per la collega del Daily Planet Lois Lane (una Kate Bosworth di maniera) ma sembra quasi rassegnato poiché la giornalista rampante neo Premio Pulitzer per un editoriale scritto dopo la scomparsa del supereroe ha messo su famiglia con fidanzato stabile e figlio di cinque anni, Jason.
Il tocco familista è garantito dall’onnipresenza del trio felice riunito ovunque
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Il tocco familista è garantito dall’onnipresenza del trio felice riunito ovunque, perfino in redazione, mentre i pruriti – tutti femminili – delle donne che salva si riducono a inviti a cena o a battutine innocue quali: “Non mi ricordavo che fossi così caldo”. Persino l’unica idea originale della sceneggiatura, ossia l’ipotesi che il figliolo sia frutto di una relazione con l’Uomo d’Acciaio visto che ogni tanto il pargolo mostra un’insolita tendenza al superpotere, resta a uno stadio larvale e scioccamente non approfondita.
Innegabili i sorprendenti effetti speciali supportati da una regia virtuosa con zoom vertiginosi e macchina da presa mobilissima che dà il meglio nelle grandiose scene di massa catastrofiche (ricordiamo che il film è costato la bellezza di 200 milioni di dollari e ha avuto una gestazione lenta e faticosa, con l’avvicendarsi di sei registi e cinque diversi trattamenti della sceneggiatura). Si tratta probabilmente del Superman più ‘aereo’ della saga, quasi sempre in azione volante indubbiamente spettacolare – salva perfino un aeroplano in difficoltà facendolo atterrare in un campo di baseball – ma la lunghezza eccessiva, ben 2 ore e 34 minuti, lo danneggia non poco e rende inutilmente dilatati alcuni semplici passaggi narrativi.
Tra le curiosità, un redivivo Marlon Brando nel ruolo del babbo Jor-El grazie a immagini ridigitalizzate del primo film della serie, il ‘Superman’ di Richard Donner datato 1978, e la sua collega in Fronte del porto Eva Marie-Saint che interpreta la mamma ‘umana’ adottiva dell’Uomo d’Acciaio.
Intanto Bryan Singer potrebbe finalmente dedicarsi al progetto maturato per anni -e rifiutato tra gli altri da Gus Van Sant- di portare sul grande schermo la vita del celebre attivista omosessuale Harvey Milk nel biopic The Major of Castro Street a meno che non dia la precedenza a un altro sequel di Superman sempre per la Warner Bros (i risultati non esaltanti al botteghino stanno però facendo nicchiare i produttori americani). Clicca qui per discutere di questo argomento nel forum Cinema.
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