IO, BIMBO MOLESTATO DA UN PRETE

Marco è un ragazzo di Agrigento. Denunciò l'assistente del seminario. Prima al Vescovo, che non fece nulla. Poi al Giudice. Che ha condannato il sacerdote. Ora racconta tutta la storia.

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Nonostante i fatti di cronaca si succedano con una rapidità disarmante, ci sono certi episodi che per la loro portata non possono né devono essere dimenticati. Qualcuno si ricorderà che a partire dal 2002 è emerso – in tutto il suo clamore – lo scandalo dei preti pedofili statunitensi. A partire dalla diocesi di Boston (nella quale negli ultimi vent’anni pare si siano verificati oltre 400 casi di abusi sui minori da parte di religiosi) l’indagine si era allargata a macchia d’olio, e sta proseguendo tutt’ora facendo emergere particolari sempre più agghiaccianti (dai filmini hard alle organizzazioni di preti pedofili…). Probabilmente l’aspetto più raccapricciante di tutta questa storia è l’omertà e il muro di silenzio (per non dire accondiscendenza) che circonda un fenomeno dalle proporzioni drammaticamente rilevanti e – a quanto sembra – davvero molto diffuso (soprattutto in quelle realtà in cui l’autorità religiosa è più influente). La cosa curiosa è che in varie parti del mondo la chiesa aveva già dato conferma di avere uno scarso controllo sulle abitudini sessuali dei suoi rappresentanti. Per fare un esempio concreto: la Conferenza dei Vescovi Tedeschi nel 1999 aveva pubblicato un documento in cui stava scritto che un omosessuale può essere ordinato prete, a patto che poi non frequenti bar gay, discoteche gay e locali gay “equivoci”! Ovviamente viene da chiedersi perchè sia stato necessario precisare questi divieti. In ogni caso è lampante che la carriera ecclesiastica può essere un ottimo modo per nascondere le proprie tendenze sessuali, soprattutto se sono scomode da gestire.

La carriera ecclesiastica, però, fornisce anche il sostegno popolare e la solidarietà della propria categoria (leggi “copertura”), il che comporta un’impunità generalizzata e – per assurdo – la colpevolizzazione delle vittime che decidono di farsi avanti.

Se poi si volesse ampliare il discorso sarebbe triste prendere atto di come certi fenomeni siano il riflesso di un più ampio disagio della società nei confronti di se stessa e delle proprie responsabilità. Che cosa bisogna fare in questi casi? Forse fare finta di niente è la scelta più comoda, ma di certo non è la più giusta, anche perchè se un problema viene alla luce non lo si può affrontare, e se i problemi non si affrontano non possono essere risolti.

Marco Marchese è un ragazzo di Agrigento, e ha scelto di far conoscere la sua storia per dimostrare che si può reagire.

Vuoi presentarti ai lettori di gay.it?

Sono Marco Marchese, ho 23 anni. Sono entrato in seminario all’età di 12 anni.

Come comincia la tua storia?

Sono entrato nel seminario minore nel 1994 perché la mia vocazione era di diventare sacerdote. Avevamo come assistente don Puleo, che allora era diacono. Lui aveva per me molte attenzioni, mi faceva anche dei regali. Poi, ai primi di dicembre, mi fece accomodare nella sua stanza e successe il tutto.

La cosa si è ripetuta?

Sì, soprattutto nei giorni di pioggia, perché altrimenti preferivo giocare a calcio e non andavo a riposare con lui.

Nessuno faceva caso al fatto che andavi spesso da lui?

Penso di no, perché capitava che noi ragazzi trascorressimo del tempo in camera sua a chiacchierare. Poi si trattava delle prime ore del pomeriggio, ognuno stava per conto proprio. Questa cosa è durata fino a quando lui, l’anno successivo, è diventato sacerdote e ha lasciato il seminario minore. Il nostro rapporto però è continuato. Lui è diventato il mio padrino di cresima. Io andavo a trovarlo, o in parrocchia o in casa sua.

Perchè non ti opponevi?

La prima volta rimasi perplesso. Era ovviamente la mia prima esperienza sessuale, precocissima e sbagliata. Lui mi diceva che era solo una questione di amicizia, che la nostra era un’amicizia particolare, mi diceva di non parlarne con nessuno perché avrei suscitato delle gelosie, che era normale il nostro comportamento, che era giusto. Io gli credevo. E mi sono affezionato a lui. Anche se cominciai subito a star male: mi fu diagnosticata una colite nervosa che mi portai dietro per un bel po’.

Quando hai capito che il vostro rapporto era sbagliato?

Quando sono andato al liceo, una scuola pubblica, perché nel seminario maggiore non esisteva una scuola superiore, e sono entrato in contatto con altri ragazzi. Allora avevo minori possibilità di passare del tempo con don Puleo, perché ero impegnato in varie attività comunitarie. Succedeva quando lui chiedeva al rettore del seminario, don Gaetano Montana, che mi inviasse nella sua parrocchia, in occasione delle cosiddette giornate per il seminario in cui si fa raccolta di fondi per le istituzioni di formazione sacerdotale, perché altrimenti non ci vedevamo mai. Sicché andavo nella chiesa dove celebrava.

Fino a che età sei stato in rapporto con don Puleo?

Fin verso i 16 anni, perché a quel punto le nostre strade si sono divise: io non volevo più incontrarlo, e anche lui non faceva pressione per vedermi perché, a quanto ho capito dopo, aveva altri ragazzi sotto mano. E in effetti sono venuti fuori i nomi di altri sei ragazzi, vittime delle stesse attenzioni morbose da parte sua.

In tutti questi anni non ti sei confidato con nessuno?

Mai. Fino a quando uno degli assistenti che mi accompagnavano a Palermo per una delle tante visite a motivo della colite, e che aveva sentito di strani episodi che accadevano in seminario, riuscì a farmi parlare e mi consigliò di parlare subito con il vice-rettore. A me non interessava fare del male a quell’uomo, ma fare in modo che nessun altro ragazzo dovesse più soffrire quello che io avevo sofferto.

E sei andato dal vice-rettore?

Sì, il giorno dopo. Mi assicurò che avrebbe parlato con il rettore, che dovevo stare tranquillo, che avrei dovuto pensare agli studi e basta. Non ho avuto nessun tipo di riscontro. Durante un ritiro spirituale parlai anche con il rettore che mi disse che era stato messo al corrente della mia situazione dal vice-rettore e che avrebbe parlato con il vescovo, monsignor Carmelo Ferraro, tuttora in carica. Io mi fidai. Inoltre, se mi capitava di incontrare don Puleo, erano sempre incontri pubblici, ritiri spirituali, ci si salutava normalmente come se i nostri rapporti in passato fossero stati normali e basta. Nel giugno del 2000 lasciai il seminario.

Quali furono i tuoi passi successivi?

Continuavo ad aspettarmi qualche riscontro alla mia denuncia. Invece non succedeva niente. Allora chiesi un incontro con il vescovo che mi ricevette subito. Stranamente, perché quando eravamo in seminario, se gli chiedevamo udienza, dovevamo attendere a lungo. Il vescovo mi ascoltò e cadde dalle nuvole. Disse che nessuno mai l’aveva informato di quanto era avvenuto. Io gli confidai la mia paura che don Puleo potesse continuare a fare del male ad altri ragazzi. Aggiunsi anche che il sacerdote andava aiutato perché la pedofilia è una malattia. “Cerchi di fare qualcosa”, insistetti, “lei è il padre spirituale di tutti i sacerdoti”. Era anche la massima autorità cui io potessi rivolgermi. Il vescovo mi assicurò che ci avrebbe pensato lui e che dovevo stare tranquillo. Mi licenziò regalandomi un libro. Da allora non ho avuto più notizie dal vescovo, non ho più avuto a che fare con lui. Invece il giorno successivo ebbi notizie da don Puleo, perché si precipitò a casa mia e mi rimproverò aspramente perché gli avevo fatto perdere la fiducia del vescovo.

Dunque il vescovo, in seguito al colloquio con te, l’aveva chiamato?

Sì. Mi disse che il vescovo lo aveva mandato a chiedermi scusa se mi aveva provocato dei turbamenti.

Come si è arrivati alla denuncia davanti all’autorità giudiziaria?

Qualche giorno dopo parlai con il mio parroco, don Giuseppe Veneziano, che tra l’altro era stato suo rettore quando don Puleo era in seminario. Si meravigliò del mio racconto, sia perché don Puleo era stimato in diocesi, sia perché il vescovo non gliene aveva fatto parola. Successivamente mi chiamò per dirmi che aveva parlato col vescovo. “Questa storia con don Puleo è acqua passata, ormai sono anni che è successa, tu stai tranquillo, fatti la tua vita, chiudiamola qui”. Intanto però don Puleo continuava a fare il parroco. Era nella parrocchia del Villaggio Giordano, a Palma di Montechiaro.

Neanche un’ammonizione al prete?

Non so che dire. Però, a seguito di non so quali vicende, due anni fa, è stato spostato e gli è stata affidata un’altra parrocchia: non era più a Palma di Montechiaro ma in un piccolo paesino nei dintorni di Agrigento, Sant’Anna.

A causa di altre vicende di pedofilia?

Beh, tre di questi ragazzi sono di Palma di Montechiaro. Qualcuno avrà saputo qualcosa… Ma non posso dirlo con certezza. Con grande delusione e rabbia ho appreso dagli atti giudiziari che quel sacerdote ha continuato ad abusare di alcuni ragazzi fino al giugno del 2001, cioè a distanza di quasi 2 anni da quando avevo parlato con i miei superiori, a distanza di 8 mesi da quando avevo avvertito il vescovo! Quanto è grande la loro responsabilità nei confronti di questi ragazzi? E mi chiedo cosa sarebbe successo se al mio posto ci fosse stato un altro ragazzo senza lo stesso coraggio, lo stesso sostegno che ho avuto io per raccontare tutto ad un magistrato? Il prete avrebbe continuato ad abusare di altri bambini? Non vorrei pensarci, ma dobbiamo farlo! La chiesa deve farlo! Quanti altri ragazzi avranno parlato e saranno stati messi a tacere? Sono domande che ancora oggi mi pongo, mentre tutte quelle persone con cui ho parlato e che avrebbero potuto e dovuto evitare altri abusi, sono ancora al loro posto, a guidare la chiesa, ma verso dove? A che valgono gli appelli del papa se poi chi li deve mettere in pratica non lo fa?! Ho tante domande ma poche risposte.

Don Gaetano Montana è ancora al suo posto?

Sì, continua a fare il rettore del seminario arcivescovile. Mi chiedo come sia possibile. Altri ragazzi possono passare le stesse mie disavventure e nessuno li difenderà. Dico questo perché, riguardo a don Gaetano, devo aggiungere una cosa. Non avendo raggiunto alcun risultato con i miei colloqui, ho parlato con i miei genitori, i quali hanno contattato un avvocato. Questi, prima di fare l’esposto alla magistratura (presentato poi nella primavera del 2001), ha voluto incontrare il vescovo per capire come mai la massima autorità non avesse preso alcun provvedimento. Il vescovo rispose che lui era super partes, che bisognava prendersela con il prete e che comunque il polverone che sarebbe seguito allo scandalo non conveniva a nessuno.

Dopo la presentazione dell’esposto cos’è successo?

Parlai con il Sostituto Procuratore che chiamò tutte le persone che io avevo citato.

Hai fatto anche il nome del vescovo fra le persone informate dei fatti?

Sì, e furono chiamate. Ma non so se fu chiamato anche il vescovo. Fui messo a confronto con il parroco, don Giuseppe Veneziano, e con il rettore, don Gaetano Montana. Il parroco inizialmente negò che gli avevo parlato degli abusi subiti. Poi, caduto in contraddizione, si è trincerato dietro il segreto confessionale. Cosa che non sta in piedi: io non mi ero confidato con lui in confessione. Il rettore non negò, anche se disse che non ricordava bene quando gli avevo parlato della mia storia. Alla domanda: “come mai non parlò con il vescovo?”, rispose che era preso da altre cose, c’era da ristrutturare il seminario, e siccome il ragazzo, cioè io, sembrava abbastanza tranquillo, tutta la faccenda si poteva rimandare. Lui parlò con il vescovo quando questi, in seguito al nostro colloquio, lo interpellò.

Qualche mese fa, il 7 luglio, don Puleo è stato condannato a due anni e sei mesi di reclusione (perchè ha patteggiato invece di accettare il processo, che avrebbe coinvolto anche le altre sei vittime aggravando la sua posizione). E’tutto finito ?

Intendo intentare una causa civile contro le persone che hanno un ruolo di responsabilità in situazioni del genere. Certamente il rettore del seminario, ma tanto più il vescovo, il quale, pur non avendo responsabilità penale, è civilmente – e moralmente – responsabile. Avrebbe dovuto prendere provvedimenti che non ha preso. A me non risulta che il vescovo sia mai stato interrogato: attendo di prendere visione di tutti gli atti processuali per averne conferma. In paese non si fa altro che parlare di questo, ma nessuno sta prendendo posizione. Tra qualche settimana spero di iniziare il cammino del processo civile. Il vescovo è ancora al suo posto e non ho mai ricevuto alcuna risposta da parte sua alle domande he gli ho rivolto in una lettera… Un’altra cosa che intendo fare, ed è il motivo per cui all’università sto studiando psicologia, è aiutare le persone che subiscono abusi. Per la qual cosa ho già fondato un’associazione, che deve diventare uno sportello di ascolto

Di cosa si tratta?

A distanza i diversi anni, insieme ad alcuni amici ho fondato l’associazione per la Mobilitazione Sociale Onlus, un’associazione che ha lo scopo di mobilitare giovani e meno giovani per diventare protagonisti del proprio cambiamento personale e sociale e combattere i disagi. Scopo è di dare la possibilità a tutti di esprimersi e sentirsi vivi nel sociale. In particolare la nostra emailamica rappresenta la possibilità per tutti di trovare un piccolo spazio nell’associazione in cui confidare problemi, disagi e trovare ascolto.

Cosa provi, ora, nei confronti di chi ti ha fatto del male?

Non provo né odio né rancore. Non condanno la persona ma il silenzio, l’omertà, il lasciar fare, il non voler vedere, il lavarsi le mani soprattutto da parte della chiesa. Quello che fa rabbia è che a tuttora la gente continua a credere alla sua innocenza, nonostante le sue stesse ammissioni, il suo stesso patteggiamento. Addirittura qualcuno crede che sia stato costretto a patteggiare! La maggior parte delle vicende di pedofilia all’interno della chiesa si caratterizza per il silenzio. Un silenzio che è rifugio e che diventa offesa e omertà. Da una parte è il silenzio di un bambino, di un ragazzino che si nasconde, si isola. Dall’altra parte c’è il silenzio degli educatori, del rettore, del parroco, dell’arcivescovo, della televisione e della gente. È il silenzio della chiesa che vuole nascondere lo scandalo. O vuol far finta di niente? È il silenzio della gente, che forse si rifiuta di credere a fatti così gravi perché il sacerdote è uno stereotipo di moralità, lealtà e fiducia, di uomo di Dio, sostegno di bambini, deboli e indifesi! La mia non vuole essere la condanna del prete, ma del prete pedofilo, dell’uomo malato che si nasconde dietro una tunica e dietro un’istituzione, per agire liberamente e soddisfare i suoi bisogni!

Cosa ti sentiresti di dire a qualcuno che ha avuto le tue stesse esperienze, ma che finora ha preferito tacere?

Non possiamo tacere. Tutti abbiamo il diritto e il dovere di mobilitarci perché nessun bambino debba più piangere in silenzio e subire la nostra indifferenza. Einstein diceva che il mondo è pericoloso non perché c’è chi fa il male ma perché c’è chi vede e lascia fare.

Il sito dell’associazione di Marco si trova all’indirizzo https://www.amsonlus.com/

Potete contattarlo all’indirizzo emailamica@amsonlus.com

di Valeriano Elfodiluce

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