Il 19 maggio di quest’anno, la televisione di Stato iraniana annunciava che l‘elicottero presidenziale, con a bordo il Presidente Ebrahim Raisi e altri alti funzionari del governo di Teheran, era stato coinvolto in un incidente non meglio specificato nella regione dell’Azerbaigian Orientale. Il giorno seguente, con il rinvenimento dei resti carbonizzati del velivolo, le autorità di Teheran confermarono poi l’assenza di sopravvissuti.
Figura controversa, Raisi era noto come il “Macellaio di Teheran“ per il suo ruolo nelle esecuzioni di massa del 1988, in cui migliaia di prigionieri politici furono trucidati in nome della purezza ideologica e della stabilità del regime islamico.
Nonostante il suo passato macchiato di sangue, Raisi era riuscito a salire ai vertici del potere in Iran, mantenendo una linea dura sia internamente che nelle relazioni internazionali, con persecuzioni a tappeto contro dissidenti, attivisti per i diritti umani e minoranze – tra cui quella LGBTQIA+.
La reazione dei leader mondiali alla notizia della sua morte è stata variegata. In Europa, il Presidente del Consiglio Europeo Charles Michel e il capo della politica estera dell’UE Josep Borrell hanno però espresso prontamente le loro condoglianze, sottolineando nel contempo la necessità di stabilità e continuità nelle relazioni con l’Iran.
Una risposta diplomatica che ha suscitato forti critiche, soprattutto da parte degli attivisti per i diritti umani e delle comunità che hanno sofferto – e continuano a soffrire – sotto il regime di Raisi.
Amnesty International e altre organizzazioni per i diritti umani hanno immediatamente ricordato il passato del defunto presidente chiedendo che la sua eredità non fosse dimenticata dopo la sua scomparsa.
È stata però la comunità LGBTQIA+ iraniana, da sempre vittima di una brutale repressione, ad esprimere maggiormente indignazione per le parole di cordoglio dei leader europei, viste come un tradimento e una mancanza di riconoscimento delle sofferenze inflitte dal regime.
L’attuale governo iraniano, in netta contrapposizione con la linea dell’UE in materia di diritti LGBTQIA+, considera infatti le relazioni omosessuali un crimine grave, punibile con la pena di morte, costringendo molti cittadini a fuggire proprio in Europa per evitare le persecuzioni.
Le persone sospettate di essere omosessuali o di appartenere alla comunità LGBTQIA+ sono giornalmente soggette a intimidazioni, arresti, torture e processi ingiusti. Le pene possono includere frustate, detenzione e, nei casi più estremi, esecuzioni.
Naturalmente, qui non esistono leggi che proteggano i diritti delle persone LGBTQIA+; al contrario, le normative e le pratiche giudiziarie sono utilizzate per reprimere qualsiasi espressione di identità sessuale o di genere non conforme agli standard eterosessuali e cisgender. Ma a questo l’UE sembra aver soprasseduto in nome della diplomazia.
La comunità LGBTQIA+ non è però la sola a subire la violenta repressione del regime. Le leggi iraniane, basate sulla sharia, impongono un rigido codice di abbigliamento e comportamento anche e sopratutto alle donne, obbligate a indossare l’hijab in pubblico e a seguire norme che regolano la loro presenza e partecipazione nella società.
In molti ricorderanno la morte di Masha Amini, giovane donna curda arrestata e uccisa dalla “polizia morale” iraniana per non aver indossato correttamente il velo. Un evento che nel 2022 scatenò una vasta ondata di proteste in tutto il paese, dando origine all’ormai celebre movimento “Donna, Vita, Libertà” contro l’oppressione.
In una lettera aperta, diverse organizzazioni LGBTI+ iraniane, tra cui Azad Queer e l’Organizzazione degli Arcobaleni, chiedono oggi all’UE di interrompere qualsiasi forma concessione diplomatica che possa essere percepita come un supporto implicito al regime, ribadendo invece la necessità di un sostegno concreto al popolo iraniano nella sua lotta contro le ingiustizie e il regime di apartheid di genere.
Gli attivisti hanno esortato l’Unione Europea a inserire il Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica (IRGC) nella lista delle organizzazioni terroristiche, con l’obiettivo di isolare ulteriormente il regime e di riconoscere formalmente il ruolo del IRGC nelle attività di repressione interna.
La lettera ha evidenziato come la comunità internazionale debba fare apertamente i conti con le violazioni dei diritti umani del regime nel trattare con l’Iran, e non chiudere un occhio in nome della stabilità politica o economica.
La morte di Raisi rappresenta ad ogni modo un momento critico per l’Unione Europea e altre potenze mondiali, ma anche un’opportunità per rivedere le loro politiche nei confronti dell’Iran e per sostenere attivamente i diritti umani verso un nuovo inizio.
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