L’ONU e i Principi di Yogyakarta

Presentati alle Nazioni Unite 29 principi e 16 raccomandazioni che stabiliscono degli standard ai quali le legislazioni degli Stati membri dell'ONU dovrebbero col tempo conformarsi.

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I Princìpi di Yogyakarta (The Yogyakarta Principles), sono un’importante iniziativa internazionale volta a promuovere i diritti fondamentali delle persone lgbt (lesbiche, gay, bisessuali e transgender). L’operazione è stata presentata ufficialmente alle Nazioni Unite a New York il 7 novembre nel corso di un evento sponsorizzato congiuntamente da Argentina, Brasile e Uruguay e organizzato in collaborazione con varie Organizzazioni non governative (Ong) tra cui Human Rights Watch, ARC International, Global Rights, l’International Commission of Jurists, l’International Gay and Lesbian Human Rights Commission e l’International Lesbian and Gay Association (ILGA).

Perché ‘di Yogyakarta’?

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Yogyakarta è la città indonesiana dell’isola di Giava nella cui università all’inizio di novembre del 2006 si sono ritrovati una trentina di esperti di diritti umani di 25 diverse nazioni (tra le quali Australia, Argentina, Cina, Irlanda, Turchia, Nuova Zelanda, Sud Africa, Stati Uniti, India e Regno Unito) per esaminare la situazione delle leggi e dei diritti civili nel mondo in relazione all’orientamento sessuale e all’identità di genere.

Nel corso del seminario a cui hanno partecipato giudici, magistrati, accademici, esperti della tematica, membri delle Nazioni Unite (tra i quali l’ex Alto Commissario per i Diritti Umani Mary Robinson), membri di organismi di monitoraggio e di varie Ong, sono stati individuati, sviluppati e infine unanimemente approvati 29 principi e 16 raccomandazioni che stabiliscono degli standard ai quali le legislazioni degli Stati membri dell’ONU dovrebbero col tempo conformarsi se, come si augurano i promotori, questi principi saranno fatti propri dall’ONU stessa.

In breve

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Il punto di partenza da cui sono partiti i 29 esperti che hanno redatto il documento è che l’orientamento sessuale (etero, bisex o omo) e l’identità di genere (che può o meno coincidere col sesso alla nascita) sono parte integrante della personalità di ogni individuo e non possono costituire base per discriminazioni o abusi. In molti paesi avviene tutt’oggi esattamente il contrario e organizzazioni come Human Rights Watch, che vigilano sul rispetto dei diritti umani fondamentali, denunciano regolarmente casi di abusi e soprusi che includono torture, violenze (anche sessuali), esecuzioni al di fuori del sistema giuridico, pratiche ‘mediche’ illegali, repressioni della libertà di parola, limitazioni della libertà d’assemblea e una lista lunghissima di discriminazioni in campi quali il lavoro, la salute, l’educazione, l’abitazione, l’immigrazione, la giustizia.

I primi 3 Principi di Yogyakarta definiscono l’universalità dei diritti umani e la loro applicazione legale a beneficio di tutti gli esseri umani, senza discriminazioni. I principi dal 4 all’11 sono inerenti al diritto stesso alla vita e al fatto che ogni vita possa essere vissuta liberamente al riparo di violenze e torture, con accesso equo alla giustizia e al riparo da detenzioni arbitrarie. Gli aspetti economici, sociali e culturali vengono trattati dai principi dal 12 al 18, che si soffermano sull’importanza della non discriminazione in ambiti quali quello lavorativo, del diritto alla casa e alla salute, delle sicurezze sociali ed educative. Il fatto che uno stato non debba interferire e limitare i diritti di espressione, di opinione e di associazione è sottolineato dagli articoli dal 19 al 21, mentre il 22 e il 23 riconoscono il diritto d’asilo a coloro che soffrono persecuzioni per via del loro orientamento sessuale e identità di genere. I principi dal 24 al 26 riguardano il diritto di poter formare una famiglia e della piena partecipazione alla vita sociale, mentre l’articolo 27 è volto al rispetto dei diritti degli attivisti per i diritti civili, ai quali gli Stati devono comunque assicurare tutte le dovute protezioni legali. Infine gli articoli 28 e 29 affermano l’importanza dell’accertamento delle responsabilità in caso di violazioni. A questi 29 articoli si aggiungono 16 raccomandazioni, destinate agli organismi istituzionali nazionali e internazionali affinché si adoperino per integrare questi standard nelle loro procedure e durante i negoziati.

Dichiarazioni di sostegnoLouise Arbour, attuale Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, nel dare il proprio sostegno all’iniziativa ha ricordato che «Il prossimo anno si celebrerà il 60° anniversario della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’uomo, un’occasione che fornisce l’opportunità ideale per richiamare principi base quali uguaglianza, universalità e non discriminazione. I diritti umani, per definizione, si applicano a tutti noi semplicemente in virtù dell’essere nati umani. Così come sarebbe impensabile escludere dalla loro protezione sulla base di razza, religione o stato sociale si deve anche rigettare ogni tentativo di farlo sulla base dell’orientamento sessuale o dell’identità di genere. I Principi di Yogyakarta ci ricordano al momento giusto di questi basilari concetti.» Boris Dittrich, direttore del programma GLBT di Human Rights Watch, ha lodato "questi governi dell’America latina che si impegnano affinché i diritti umani fondamentali si applichino a tutti, a prescindere dall’identità sessuale" e ha ricordato che «i Principi di Yogyakarta sottolineano il fatto che nessuno dovrebbe dover fronteggiare violenze o discriminazioni per come è, per come appare e per chi ama.» 

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