Stando al tribunale di Venezia, non ci sarebbe "alcuna giustificazione razionale" alla norma "implicita nel nostro sistema, che esclude gli omosessuali dal diritto di contrarre matrimonio con persone dello stesso sesso". La corte della città lagunare ha espresso questo storico parere nell’ordinanza con la quale ha chiesto alla Consulta di esprimersi sulla legittimità degli articoli del codice civile che non consentono le nozze tra persone dello stesso sesso. Quello che si mette sul piano della discussione è la probabile incompatibilità di questo principio con alcuni altri stabiliti dalla Carta Costituzionale, a cominciare dall’articolo 3 che sancisce l’uguaglianza tra tutti i cittadini e dal secondo articolo che riconosce i diritti fondamentali dell’uomo.
Ai giudici di venezia si era rivolta una coppia di gay cui, come a tante altre, erano state negate le pubblicazioni di matrimonio da parte dell’ufficiale di stato civile. A parere dei giudici lagunari la società ha di fatto superato "monopolio detenuto dal modello di famiglia normale, tradizionale". "Il diritto di sposarsi configura un diritto fondamentale della persona, riconosciuto sia dalla Costituzione sia a livello sovranazionale" scrive il tribunale, citando la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo e la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea. Spiega il tribunale: "la libertà di sposarsi (o di non sposarsi) e di scegliere il coniuge autonomamente riguarda la sfera dell’individualità"; è perciò "una scelta sulla quale lo Stato non può interferire, a meno che non vi siano interessi prevalenti incompatibili". Specificatamente, per quanto riguarda le nozze tra persone dello stesso sesso "il Tribunale non individua alcun pericolo di lesione ad interessi pubblici o privati di rilevanza costituzionale, quali potrebbero essere la sicurezza o la salute pubblica".
E per avvalorare ancoa di più la loro tesi, i togati fann riferimento all’articolo 3 della Carta Costituzionale "che vieta ogni discriminazione irragionevole, conferendo a tutti i cittadini… pari dignità sociale, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali". Lo stesso articolo poi, impegna lo Stato a "…rimuovere gli ostacoli che limitano di fatto la liberta’ e l’eguaglianza dei cittadini"
"Il diritto di contrarre matrimonio è un momento essenziale di espressione della dignità umana – scrivono ancora i giudici -, e si ritiene che esso debba essere garantito a tutti, senza discriminazioni derivanti dal sesso o dalle condizioni personali (quali l’orientamento sessuale). Se dunque lo scopo dell’articolo 3 è vietare irragionevoli disparità di trattamento" ciò significa che la norma che esclude le nozze gay "non abbia alcuna giustificazione razionale, soprattutto se raffrontata con l’analoga situazione delle persone transessuali, che, ottenuta la rettificazione di attribuzione di sesso in applicazione possono contrarre matrimonio con persone del proprio sesso di nascita".
Un passo avanti non indiffernte, soprattutto perché arriva da un’istituzione dello Stato che si limita ad analizzare la questione dal punto di vista dei principi già sanciti dalla legge in vigore. Adesso, chiaramente, si attende il parre della Consulta che, se sguirà la linea del tribunale di Venezia, metterà sotto tutt’altra luce la questione non solo delle unioni di fatto, ma dei matrimoni veri e propri tra gay e lesbiche.
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