E’ stato inchiodato dai giornali dell’epoca alla definizione di ‘professore’, lui che non ha mai insegnato in vita sua, ma chi è Aldo Braibanti?
Partigiano torturato dai nazisti, filosofo, poeta, sceneggiatore teatrale e cinematografico, da sempre studioso di mirmecologia (la vita delle formiche), Aldo Braibanti fu condannato il 14 luglio 1968 dalla Corte di Assise di Roma, nella figura del giudice Orlando Di Falco a nove anni di reclusione per “plagio”, con una sentenza che lo apostrofava come «affetto da omosessualità intellettuale», un’accusa che all’epoca lo rendeva indifendibile.
Per la prima volta con questa sentenza in Italia veniva applicato l’Art, 603 del Codice Penale Rocco.
Il reato di plagio, venne abrogato dalla Corte Costituzionale nel 1981, ma Braibanti pur restando l’unico condannato in Italia per questo reato, non ha mai avuto alcun risarcimento economico. I “plagiati” Giovanni Sanfratello di 24 anni e Piercarlo Toscani di 23, appartenevano a due famiglie reazionarie vetero-clericali che non avevano perdonato a quell’uomo politicamente scomodo tanto a destra quanto al centro che a sinistra, di aver trascinato i loro rampolli verso un modus vivendi imperdonabile per l’epoca.
Perito dell’accusa fu il criminologo neofascista Semerari, il cui nome è storicamente legato anche ad un processo contro Pasolini.
Lo Stato ha conferito a Braibanti il Premio Bacchelli. In una recente intervista l’intellettuale dichiarava «Non ho ancora visto i denari ma spero che bastino a pagarmi un affitto da qualche parte». E già, perché oltre al silenzio montato ad arte attorno alla sua figura, va aggiunto anche lo sfratto che ha colpito l’intellettuale di recente, ritiratosi a vita privata dopo essere giunto alla ribalta delle cronache quale colpevole protagonista di uno dei più grossi scandali italiani della storia dell’omosessualità.
Ma al silenzio e alla solitudine Aldo Braibanti sembra essere abituato da lungo tempo, da quando anche l’imbarazzo della sinistra ai tempi del processo si fece evidente e di fatto fu lasciato solo fino al giorno della sentenza in cui “l’Unità” pubblicò un editoriale in suo favore. Bisognerà aspettare infatti la conclusione del processo perchè “Quaderni Piacentini”, la rivista della sinistra eterodossa che Braibanti aveva collaborato a fondare, si esprima sul caso.
Fu solo Marco Pannella, che dopo aver saputo di quel processo infame portato ai margini della stregoneria, mobilitò il suo partito, di lì a poco impegnato nelle ardue battaglie per l’approvazione delle leggi sul divorzio e l’aborto in Italia.
I nomi della cultura di sinistra, Pasolini, Elsa Morante, Dacia Maraini, Alberto Moravia e molti altri fecero il possibile per contrastare l’infamia di quel processo. Pasolini disse di Braibanti in quell’occasione: «E’ un uomo solo e debole perché ha scelto di rifiutare l’autorità che gli sarebbe venuta dal definirsi intellettuale; questa debolezza è il suo scandalo». Mentre il regista Bellocchio andò a testimoniare al suo processo, lo stesso processo che è diventato oggetto della tesi di laurea di uno studente gay di Scienze della Comunicazione, Gabriele Ferluga, nato a Gorizia, che ha ricostruito tutta la vicenda giudiziaria Braibanti ponendo l’accento non tanto sul plagio in se’ e per se’ quanto sul modo in cui fu trattata l’omosessualità durante il processo.
L’omosessualità fu infatti messa senza mezzi termini al centro del processo e processata essa stessa attraverso Braibanti con tutti i pregiudizi e gli stereotipi dell’epoca.
Nove anni meno due per meriti resistenziali, poi ridotti in appello a quattro meno due, confermati in cassazione. Un rapporto d’amore tra un uomo e un altro uomo fu pagato con due anni di carcere.
Una storia quella tra Braibanti e Giovanni Sanfratello iniziata nella provincia piacentina, a Castel Arquato per l’esattezza e culminata in modo tragico: da una parte ci fu il carcere e dall’altra il manicomio.
Il 1° novembre 1964, dopo aver denunciato Aldo Braibanti, con l’aiuto dell’altro figlio Agostino e di altri familiari, il padre di Giovanni Sanfratello prelevò il figlio con la forza e lo chiuse per circa un anno e mezzo in un manicomio nei pressi di Verona dove il giovane fu sottoposto ad una serie di elettroshock.
Questa vicenda degna di un medioevo culturale e raccapricciante per la singolarità degli eventi si è consumata nel silenzio dove ancora oggi e relegata, all’ombra di un “plagio” che puniva chi sottoponeva qualcuno al proprio potere in modo da assoggettarlo ‘totalmente’.
«La parola plagio deriva dal latino “plaga”: riva del mare» spiega lo stesso Brabanti in una lunga intervista rilasciata a Massimo De Feo, «e si riferisce ai furti di donne e bambini che facevano i pirati medievali e rinascimentali. Nel codice Rocco il termine viene utilizzato non come sopraffazione fisica o di altro genere, ma come un vero furto di anima, cioè un impossessarsi della personalità di un altro usando solo i mezzi della propria fascinazione personale. In questo senso è inesatto usare la parola plagio, che si riferisce a una concezione molto diversa del codice penale, perché un conto è usare violenza sia pure psicologica su altre persone, un conto è utilizzare tutta la propria forza e passionalità per persuadere un altro di qualcosa che si ritiene giusta e positiva. Un codice penale ha gli strumenti per punire violenza e sopraffazione, ma non può in nessun modo intromettersi tra le forme più autentiche di rapporto fra le persone. Una sorta di potere di convinzione, di influenza psicologica per la quale la vittima perdeva la facoltà di pensare autonomamente».
Era chiaro che l’accusa di “plagio” era un’arma per colpire chi non si conformava all’ordine stabilito: nella fattispecie si colpiva l’ateismo di Braibanti, il suo essere un intellettuale libertario di sinistra ma soprattutto si puniva la sua morale sessuale.
Scontati i due anni di carcere Braibanti tornò a vivere nella sua casa romana ai margini della produzione culturale.
Oggi è anziano e vive ancora a Roma, ancora in quella stessa casa del ghetto al terzo piano di un vetusto palazzo in via del Portico d’Ottavia 7/a, da dove sta per essere sfrattato.
E’ difficile parlargli, non ama mettersi in evidenza e meriterebbe di essere intervistato certo per argomenti diversi da questa vicenda che si porta sulle spalle da quasi trent’anni e che sembra aver oscurato tutto il vigore e l’originalità culturale del suo essere un poeta e un intellettuale poliforme più che un caso giudiziario.
Poche le voci che anche oggi tagliano quel muro di isolamento e indifferenza alzato intorno alla figura di Aldo Braibanti, ma qualcosa si sta muovendo, esiste un comitato sorto per dar voce e contrastare l’ennesimo caso di ingiustizia ai danni dell’ottuagenario intellettuale.
L’obiettivo del comitato è premere sul Governo perché sia assegnato a Braibanti il vitalizio previsto dalla cosiddetta Legge Bacchelli e sul Comune di Roma affinchè si riesca a trovare il prima possibile per lui e per il suo archivio una decorosa sistemazione abitativa. Due i nomi che firmano l’appello: On. Franco Grillini e Daniele Scalise, simbolici altoparlanti di chi non pretende «di essere un oggetto raro o la maschera di un “primo tra i pari”. Senza frastuoni, intenderei unire la mia voce al coro (sempre troppo esiguo) di coloro che in molti modi combattono per la salvezza del pianeta e di tutte le sue forme di vita, al di fuori di ogni ideologia e di ogni mitologia.»
Per maggiori informazioni sul Comitato Pro Braibanti e per eventuali adesioni è possibile scrivere all’On. Grillini – Camera dei Deputati – Roma [email protected] .
Bibliografia
Ha lavorato per la Rai e ha scritto diverse sceneggiature cinematografiche:
“Pochi stracci di sole“
“Il pianeta di fronte“
“Colloqui con un chicco di riso“.
1960
“Il circo” quattro volumi di poesie, piéces e saggi
“Guida per esposizione“.
“Giornale di bordo del primo viaggio” di Cristoforo Colombo, una traduzione in italiano moderno
1969
“Le prigioni di Stato“. Antologia dei primi scritti
Costante è stata la sua attività di autore e regista teatrale:
“Bandi di virulentia“,
“Laboratorio dell’Anticrate“,
“L’altra ferita“,
“Il Mercatino“,
“Theatri epistola“.
Ha scritto e diretto tre serie di trasmissioni radiofoniche:
“Lo scandalo dell’immaginazione“,
“Le ballate dell’Anticrate“,
“Le stanze di Azoth“.
1979
“Object trouve” opera-catalogo pubblicata a Firenze
1980
Otto diversi diversi sulla rivista milanese: “Legenda“
“Orizzonte degli eventi” uno dei suoi video
1988
Pubblica “Impresa dei prolegomeni acratici“.
1991
Nel catalogo della Biennale di Venezia (sezione musica) pubblica “Pellegrinaggio a Rijnsburg“, viaggio nei luoghi spinoziani, opera con testi poetici e collages, alla ricerca dell’attualità del gesto poetico.
“Morphing“, un altro dei suoi video, con animazioni di Leonardo Carrano.
1998
“Un giallo o mille” con testi poetici e collages.
Ha in lavorazione :
il “Catalogo degli amuleti“,
il “Nuovo dizionario delle idee correnti“,
il video in lungometraggio intitolato “Quasi niente” e un’edizione completa delle poesie dal 1940 al 1999.
Su Braibanti il regista Franco Bernini ha diretto nel 95 un episodio “Il caso Braibanti” della serie “La Parola ai giurati” .
di Monica Giovannoni
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