Una prima visione ad hoc per il 17 maggio, giornata internazionale contro l’omobitransfobia.
In prima serata su Rai3 (ore 21:20) andrà in onda Il Signore delle Formiche di Gianni Amelio, film presentato in concorso alla 79ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, con 6 candidature ai David e 4 ai Nastri d’Argento. Un’opera quanto mai adeguata per celebrare il 17 maggio, essendo liberamente ispirata al processo che negli anni ’60 fece scalpore in tutto il mondo. Quello ad Aldo Braibanti, drammaturgo e poeta condannato a nove anni di reclusione con l’accusa di plagio, cioè di aver sottomesso alla sua volontà, in senso fisico e psicologico, un suo studente da poco maggiorenne. Un processo al suo essere gay, alla sua “condotta immorale”, per quanto l’omosessualità in Italia non sia mai stata criminalizzata, perché se Mussolini avesse osato metterlo nero su bianco avrebbe dovuto ammettere che anche nel nostro Paese esistevano gli “invertiti”. Tanto valeva spedirli al confino, in silenzio, dove nessuno avrebbe potuto vederli.
Nel 1969 il Bel Paese vide alla sbarra il suo Oscar Wilde, ma con un secolo di ritardo. La famiglia di Ettore, giovane studente innamoratosi di Braibanti, lo rinchiuse in un ospedale psichiatrico e sottopose a 40 devastanti elettroshock, perché “guarisse” da quell’influsso “diabolico”. Costretto a confessare un “plagio” mai esistito, il giovane in aula negò tutto, ribadendo il sentimento condiviso, l’attrazione nei confronti di Aldo che mai l’aveva costretto a fare alcunché, ma la Corte vide quel repentino cambio di rotta come la dimostrazione plastica dell’avvenuta soggiogazione.
Braibanti fu il primo e unico italiano ad essere condannato per plagio, reato introdotto dal fascismo col Codice Rocco e cancellato nel 1981 dalla Corte Costituzionale. Il processo fece clamore, mobilitando intellettuali come Alberto Moravia, Umberto Eco, Pier Paolo Pasolini, Marco Bellocchio, Adolfo Gatti, Giuseppe Chiarie e numerosi altri intellettuali e uomini di cultura, con i radicali Marco Pannella ed Emma Bonino in prima fila, ma dopo 4 anni di processo la condanna a nove anni divenne realtà, per poi scendere a sei in appello. Braibanti scontò due anni di carcere, mentre i restanti gli furono condonati perché partigiano della resistenza.
Un processo all’omosessualità, quello andato in scena a Roma, che servì a mettere sotto accusa i “diversi” di ogni genere, i fuorilegge della norma. Amelio, co-sceneggiatore della pellicola insieme ad Edoardo Petti e Federico Fava, ha preso spunto da fatti incredibilmente realmente accaduti, raccontando una storia a più voci, dove accanto all’imputato Braibanti prendono corpo famigliari e amici, accusatori e sostenitori, nonché un’opinione pubblica colpevolmente distratta o indifferente.
Con il suo talento per il cinema civile, Gianni Amelio ha dato luce ad un episodio dimenticato dell’Italia recente, con tre protagonisti straordinari. Luigi Lo Cascio negli abiti di Braibanti, Elio Germano in quelli di un giornalista dell’Unità e grande Leonardo Maltese in quelli del giovane Ettore.
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