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‘Non sono osceni i film che faccio, sono oscene le domande che mi fa lei’. Così dice il disamorato Jacques, regista porno quasi sessantenne alla giornalista che dopo diversi tentativi è finalmente riuscita a intervistarlo. ‘Non so perché le racconto la mia vita, è che sono talmente solo che avevo voglia di parlare con qualcuno’.
E’ un uomo disilluso, annoiato, remissivo il protagonista de ‘Le pornographe‘ di Bertrand Bonello, vincitore a Cannes nella Settimana Internazionale della Critica, quasi un atto d’amore nei confronti del protagonista, Jean-Pierre Léaud, classe 1944, leggenda vivente del cinema francese, praticamente cresciuto davanti alle cineprese, icona del cinema di Truffaut e attore-simbolo della nouvelle vague, indimenticabile quando guarda in camera dopo aver osservato il mare nel finale de ‘I quattrocento colpi‘.
Léaud è Jacques Lauré, in arte Laurent Jacqué, regista porno che torna dopo molti anni a dirigere un film hard. È malpagato e ha diversi problemi in famiglia: non ama più la donna con cui vive dopo che la moglie si è suicidata buttandosi da una finestra e suo figlio l’ha abbandonato dopo aver saputo di avere un padre pornografo. Sul set le cose non funzionano, i tagli impongono restrizioni, lui vorrebbe un montaggio più elaborato: «mettiamo anche la scena di un parto, deve sembrare che nasca l’amore, o qualcosa, da questa scena di sesso», l’attrice non rispetta l’unica condizione imposta («Devi farti venire in bocca e inghiottire»), lui continua a dirigere attonito, muto, imperturbabile.
L’incontro col figlio sembra pacificarlo ma in realtà mette in moto considerazioni nostalgiche e fallimentari sulla sua contestazione, il suo ’68, che il figlio vuole riprodurre nell’unico modo che gli sembra oggi possibile, il silenzio, il rifiuto. Il suo sogno di realizzare un ultimo film, più elaborato, dal titolo ‘L’animale’ (una caccia alla volpe il cui trofeo è in realtà una donna) sembra utopico, decide allora di costruirsi una casa in un prato, da solo.
Profonda e ardita riflessione filosofica e politica su una sconfitta personale ma anche generazionale (il figlio catatonico gli chiede: "ma voi eravate entusiasti durante la contestazione, vi divertivate?") con un’inquietante analisi della situazione contemporanea ("Ci saranno guerre, e saranno del tutto nuove. Solo guerre civili, all’interno dei singoli stati"), prende a pretesto il mestiere del regista di film porno per sostenere metaforicamente la tesi sull’incapacità del cinema di mettere a nudo l’umanità più intima.
Il set porno appare solo due volte (in una villa antica e in un deserto finto-western), con due vere star del cinema francese, la ventunenne Ovidie e la piccola leggenda nazionale Titof (ragazzo minuto e dotatissimo, con bellissimi occhi blu, già apparso in ‘Baise-moi‘) che si presenta così: «stai attenta che c’è l’ho grosso come un toro», ed è tutto dire (la copiosa eiaculazione facciale nella versione italiana non è stata per fortuna censurata). Interamente giocato sul volto del protagonista (con capello lungo e liscio, estremamente dimesso, martoriato dai tic) è un film filosofico e ben poco pornografico, a tratti torturato e torturante, non molto riuscito. Voyeurs astenersi.
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