Lettera al marito di Virginia Raggi

La civiltà oggi permette alle donne di essere libere e potenti e di lasciare la famiglia a casa, esattamente come da sempre gli uomini possono fare.

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3 min. di lettura

Caro Andrea Severini,

non mi va di infierire sulla carne viva di questioni emotive private, su legami delicati che vivono e muoiono tra le mura di casa, anche se proprio tu hai provato a rendere pubbliche faccende che pubbliche non sono. In ogni caso, scrivo a te per quello che rappresenti, della tua persona non so quasi niente: ti scrivo in risposta alla tua lettera aperta di cui tanto si è parlato, simbolo ai miei occhi di tutto un repertorio di atti e atteggiamenti dell’uomo verso la donna o per meglio dire del maschile verso il femminile.

Ebbene: l’elezione di Virginia Raggi al ballottaggio di domenica 19 giugno non ti riguardava, anche considerato il fatto che tua moglie mi sembra di capire stia pure per diventare la tua ex moglie. Quindi nel tuo gesto si coglie soprattutto la consueta invadenza puerile – che sa diventar cafona – che spesso molti uomini hanno verso le donne. Un senso di proprietà inestinguibile, che non viene meno neanche alla fine di un rapporto.

“Quante volte ti ho detto che ti vedevo bene come sindaco e che ero sicuro che ce l’avresti fatta? Così è stato!”: questo scrivi, come a rimarcare un merito. Insopportabile poi questa prima persona plurale che torna e ritorna – noi, noi, noi. Praticamente ti senti eletto pure tu, la donna qua non ha nessuna “stanza tutta per sé”, come scriveva Virginia Woolf riferendosi alla storica mancanza di spazi privati per le donne, condizione che a lungo ha impedito il fiorire di un’arte, di una letteratura femminile. Lo spazio che conquista la donna lo deve immediatamente condividere, volente o nolente, col marito mentore.

Una delle grandi priorità per le donne, come ha scritto in questi giorni Michela Murgia, è quella di affrancarsi dalla tendenza che le riduce sempre ai suoi legami familiari. L’uomo appartiene al mondo, alla scena pubblica, ha quello statuto lì, alto, nobile, meritevole delle cose serie, la donna invece appartiene al bagno e al tinello e quando arriva in certe posizioni ci arriva così, accidentalmente. Il legame con la casa e la famiglia non viene mai meno, si continua a ridurla al proprio ruolo di figlia, di madre, di moglie.

La tua lettera mi sembra importante e meritevole di attenzione perché investe la vittoria elettorale di Raggi (impariamo a togliere quell’eloquente articolo determinativo – “la” Raggi – che sminuisce le personalità femminili) di un qualcosa di amatoriale, di poco autorevole, ufficioso. Tenta in definitiva di ridurre la sindaca di Roma alla moglie di Andrea Severini, che è arrivata dov’è arrivata grazie all’incoraggiamento pregresso e attuale del marito. Nonostante sia più famosa di te, abbia più potere e responsabilità di te, a te deve essere ricondotta. Non basta mai, non è mai sufficiente, la donna sconta un deficit ontologico, originario.

Le donne non saranno mai autonome finché non si smetterà di vederle col grembiule anche se siedono in parlamento o in Campidoglio. O di giudicarle esteticamente anche se hanno scelto carriere diverse da quella della modella o di ragazza immagine. O ancora, per tornare con la memoria a un fatto di qualche mese fa, finché non sarà per loro possibile togliere la giacca durante una conferenza per il caldo senza che l’uditorio (maschile) rumoreggi.

In Italia, come la tua lettera conferma, sembra sempre che la donna sia un’appendice, un prolungamento dell’uomo – prima del padre, poi del marito. La tua lettera lo conferma perché nel momento in cui tua moglie vince una competizione elettorale così importante ti sei sentito subito in diritto di diffondere quelle righe che, oltre a rendere pubblica la vostra privatissima situazione sentimentale, di fatto hanno occupato forzatamente la scena, una scena che non può, non deve essere solo della femmina di casa.

Tu, il marito, hai fatto valere qualcosa come un’appartenenza asimmetrica, tipica cifra del rapporto tra i sessi, quantomeno in Italia. Un rapporto che permette una presa della parola così indelicata. Qualcosa che ricorda un po’ l’atteggiamento del padre verso la figlia quando questa ha il saggio di danza. Un paternalismo di base che rappresenta la versione soft del tipico maschilismo all’italiana, mentre quella hard è data dai mostruosi esempi di violenza ormai all’ordine del giorno. Un paternalismo che ti spinge addirittura a dare consigli a chi collaborerà con tua moglie, esattamente come farebbe il padre che affida la figlia a un nuovo uomo.

E’ ora di spezzare il nesso simbolico che storicamente ha collegato la scarsa forza fisica femminile al predominio maschile: la civiltà oggi permette alle donne di essere libere e potenti e di lasciare la famiglia a casa, esattamente come da sempre gli uomini possono fare.

Jonathan Bazzi

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Iu Tub 28.6.16 - 20:37

Caro il nostro Bazzi (metto "il" e "nostro" perché non è con la semiotica che si cambia mondo, checchè ne dicano i cialtroni sostenitori della teoria queer a la de Lauretis). Tu scrivi giustamente "versione soft del tipico maschilismo all’italiana, mentre quella hard è data dai mostruosi esempi di violenza ormai all’ordine del giorno". Ottimo, nulla da eccepire (anche se forse il voler geolocalizzare un fenomeno che come tu fai notare ha radici storiche e biologiche -e dunque sovranazionali- mostra un po' il debole fianco di certa retorica di cui ci si dovrebbe spogliare), visto che le statistiche e gli studi dimostrano che la violenza domestica è a livelli agghiaccianti, spaventosi, inquietanti, nelle coppie lesbiche, perché ti ostini a voler dipingere la sopraffazione e la violenza come prerogative androgine (parecchio sessista da parte tua btw)? Mi spiego meglio: invece che banchettare sul cadavere del marito della raggi e del patetico di cui si è sommerso da solo, perchè non fai una bella riflessione sull'animo umano, sul senso di possesso, sul l'angoscia che domina tutti gli esseri umani quando perdono la persona amata, invece che ignorare le coppie lesbiche si massacrino 4 volte di più di quelle gay e il doppio di quelle etero? Un bacio

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    Jonathan Bazzi 29.6.16 - 19:47

    Ciao, il problema infatti è tipicamente del maschile, inteso più come polo simbolico-affettivo che come datità biologica. E molte lesbiche hanno un po' il sogno del maschile. Da qui la risposta alla tua questione delle violenze nelle coppie lesbiche. Ciao e grazie per aver commentato. Jonathan Bazzi

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Luca Nasi 28.6.16 - 12:27

Concordo con certe tematiche, ma l'articolo ignora completamente il fatto che il marito di Raggi è anch'egli attivista del M5S forse da prima di lei e credo che sia stata una scelta anche di coppia quella di candidarsi. Quindi era semplicemente una lettera patetica e fuori luogo ma tutto sto "paternalismo" non lo vedo.

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Giuseppe Pino Mincolelli 26.6.16 - 6:20

"Ebbene: l’elezione di Virginia Raggi al ballottaggio di domenica 19 giugno non ti riguardava, tutt’al più che tua moglie mi sembra di capire stia pure per diventare la tua ex moglie." Tutt'al più significa "piuttosto" o" invece", ed indica un'alternativa preferibile. Forse voleva usare la locuzione "tanto più", che è asseverativa. L'italiano. Per favore.

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Sorella Jean Claude 23.6.16 - 10:44

E' un articolo, anzi, una contro-lettera, assolutamente ben scritta. Il patriarcalismo, il maschilismo e quel senso di proprietà cosale nei confronti della donna è tuttora una radice cancrenosa di questo paese. Una radice da estirpare. Per il resto, indipendentemente dalla mia appartenenza politica (non esattamente pentastellata), i miei più sinceri auguri di buon lavoro alla neo-sindaca.

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    Alesandro 24.6.16 - 21:51

    patriarcalismo una cancrena? perché?

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    Iu Tub 28.6.16 - 20:44

    Questi sono i danni del supposto "femminismo queer intersezionale : la totale disconnessione dalla realtà per combattere mulini a vento auto generati. Poveri noi (e voi)

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Giovanni Di Colere 22.6.16 - 18:50

Sono contento per la Raggi che ha vinto le elezioni ma non è certo chiamandola sindaca che realizzeremo una società meno misoginia e per le pari opportunità. Al massimo storpiamo la lingua italiana

    Avatar
    Carla 27.6.16 - 12:41

    No, non si storpia la lingua italiana. Sindaca, avvocata, ministra, magistrata sono corretti, come confermato anche dall'Accademia della Crusca. E sì, è proprio con l'uso corretto delle parole che si cambia il pensiero, visto che questo non ha altra via per essere espresso. E poi perché la Raggi? Diresti il Renzi? No, a meno che tu sia milanese...

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