È nato il nuovo Dolan? A soli 26 anni il belga Lukas Dhont ha trionfato col suo mirabile film Girl al Festival di Cannes (ben quattro premi: Caméra d’Or come migliore opera prima, miglior attore della sezione Un Certain Regard, Fipresci della critica internazionale, Queer Palm) e pensiamo che se Girl fosse stato nella competizione ufficiale avrebbe potuto avere la meglio sul giapponese Un affare di famiglia di Kore-eda Hirokazu, bello ma meno emozionante. Sì, perché ci si commuove davvero nel seguire le vicende di una ragazzina transessuale, Lara (un fenomenale Victor Polster al suo esordio cinematografico), desiderosa di diventare un’étoile della danza ma frenata dal suo corpo maschile in cui si sente imprigionata. Uscirà in Italia il 27 settembre grazie all’illuminata Teodora Film.
Abbiamo intervistato il regista telefonicamente:
Gay.it – Sei appena rientrato dal Festival di Toronto, com’è andata? Girl è stato apprezzato?
Lukas Dhont – Tutto bene, abbiamo avuto un’ottima accoglienza!
– Girl è una meraviglia, si rimane realmente stregati dal protagonista Victor Polster. So che non è stato facile trovarlo. Quanto tempo e quante audizioni ci sono volute per trovarlo?
– Iniziammo il casting un anno e mezzo fa. Cercavamo chi sapesse ballare, recitare e rappresentare l’identità femminile. Era aperto a ragazze e ragazzi. Abbiamo provinato 511 persone ma alcune andavano bene per un ruolo ma non per l’altro. Quando Victor entrò nella stanza era molto speciale, una sorta di angelo. Iniziò a ballare: ci guardammo e comprendemmo subito che sarebbe stato lui la scelta giusta.
– Victor è un ballerino anche nella realtà?
– Sì, è un ballerino professionista. Balla dall’età di dodici anni.
– La storia di Girl è ispirata a una storia vera?
– Sì. Quando avevo 18 anni trovai un articolo in cui una ballerina diceva di ‘essere nata in un corpo sbagliato’ e voler diventare ballerina. Lo trovai molto coraggioso. Inizialmente volevo farne un documentario. Ci siamo conosciuti e ci frequentiamo, si chiama Nora. Nora è anche venuta a Cannes ma ha preferito non stare sotto i riflettori.
– La sceneggiatura di Girl è molto particolare perché non c’è antagonista, come Call Me By Your Name di Luca Guadagnino. In effetti, però, un antagonista c’è, ed è il corpo stesso di Lara, che ne pensi?
– Hai proprio ragione, è un film ‘corporeo’, sul corpo. Per me era importante focalizzarmi sulla relazione col corpo, non semplicemente su una trans.
– Il tuo sguardo è molto sensibile. È stato difficile entrare nell’intimità di Lara, esplorare il suo corpo?
– Ho girato con una piccola troupe, spesso eravamo solo quattro o cinque, ci fidavamo l’uno dell’altro. E la fiducia è l’elemento principale tra attore e regista. Abbiamo creato performances e il mio cameraman è stato anche il primo a preoccuparsi del rispetto. Ci sono molti elementi che ne fanno un ritratto delicato, intimo.
– Che cosa c’è di personale in Girl?
– È molto personale. Per esempio l’idea che un artista cerchi la perfezione e si spinge sempre più in là. È molto duro, ritengo di pensarla così anch’io.
– Una bella scelta è stata anche Arieh Worthalter che interpreta il padre di Lara…
– Ho scritto una parte del film a Parigi, alla Cinéfondation, e lì vidi questo uomo charmant e carismatico. Quando parlammo del ruolo c’era una connessione che mi convinse: lui era la persona giusta per la bella relazione padre-figlia, una dinamica affascinante da guardare.
– A Cannes hai vinto, tra gli altri premi, la Queer Palm…
– Quando l’ho vinta ero emozionato. Il mio film è universale ma ha un protagonista trans, è stato bello rappresentare una minoranza in un modo sensibile.
– Hai girato un cortometraggio a tematica queer, Boys on Film X. Di che cosa si trattava?
– Anche quello di un ballerino che però era in un hotel per un’audizione
– Girl è la scelta belga per gli Oscar… Questo ti emoziona?
– Oh mio Dio! Era un sogno da bambino, immaginavo di stare tra le celebrità. È un cliché che diventa realtà.
– Che cosa conosci dell’Italia?
– Sono stato a Venezia, Roma e l’ho girata in bus, ci tornerò. Adoro il vostro cibo.
– E il ballerino Roberto Bolle lo conosci?
– No, non ancora.
– Il tuo prossimo progetto?
– Parlerà di mascolinità, di un’arena sessuale molto fisica.
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