NUOVO FARMACO HIV IN FASCIA H

E' l'Enfuvirtide, inibitore della fusione. Impedisce al virus di entrare nelle cellule. Carosi: "Perfetto per chi ha sviluppato resistenze". Di Perri: "Limita gli effetti collaterali".

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TAORMINA – E’ stato inserito in fascia H, rimborsato dal Ssn per uso ospedaliero, il farmaco anti-Aids enfuvirtide, ‘sentinella’ della cellula contro l’attacco del virus Hiv e capostipite di una nuova classe di antiretrovirali detti inibitori della fusione. L’annuncio del passaggio del prodotto dalla fascia C alla fascia H del prontuario è stato dato durante un meeting sull’Aids in corso a Taormina.
Rispetto agli altri antiretrovirali – hanno ricordato gli esperti – gli inibitori della fusione si attivano in uno stadio precedente del processo d’infezione, bloccando il virus prima che questo entri nelle cellule del sistema immunitario. I linfociti vengono così preservati dall’attacco virale: si sbarrano le ‘porte’ al virus prima che questo entri e debba essere combattuto dall’interno.
Per chi risulta resistente al virusIl farmaco viene utilizzato in terapia di associazione con altri prodotti, ma le attuali indicazioni ne prevedono l’uso solo in pazienti divenuti resistenti alle terapie tradizionali. Nel 17% di questi malati – dimostrano gli studi multicentrici presentati a Taormina – l’enfuvirtide è in grado di tenere sotto controllo l’Hiv resistente per quasi due anni, mentre con i trattamenti classici in genere si arriva oltre i sei mesi soltanto nell’8% dei casi.
Un risultato che appare tanto più importante considerando che «attualmente il 10-12% dei sieropositivi – spiega Giampiero Carosi, direttore della Cattedra di Malattie infettive dell’università di Brescia – ha ormai sviluppato resistenze nei confronti di quasi tutte le molecole disponibili. E anche la circolazione di ceppi resistenti in pazienti naive, cioè mai trattati, sta aumentando in tutto il mondo».
Altri vantaggi dell’enfuvirtideGli studi sulla terapia con enfuvirtide hanno inoltre dimostrato un miglioramento del quadro immunologico (aumento dei linfociti CD4, le cellule del sistema immunitario colpite dal virus) nel 31% dei pazienti per tutte le 96 settimane di osservazione, contro il 10% degli antiretrovirali tradizionali il cui effetto dura tra l’altro solo 48 settimane. «Un risultato doppio – ha spiegato Adriano Lazzarin, ordinario di Malattie infettive all’università Vita-Salute San Raffaele di Milano – che permette di dare aspettative di vita in particolare a chi ha sviluppato resistenza agli antiretrovirali».
«Un paziente pluritrattato e resistente alle terapie correnti – spiega Giovanni Di Perri, ordinario di Malattie infettive all’università di Torino – risponde invece agli inibitori della fusione, farmaci che oltre alla loro potenza antivirale presentano minori effetti indesiderati. Infatti, non entrando all’interno della cellula, non interferiscono con i meccanismi metabolici responsabili degli effetti collaterali a medio e lungo termine provocati dalle terapie tradizionali. Si evitano così danni al fegato e ai nervi periferici, problemi di metabolismo dei grassi e aumento del rischio cardiovascolare e di diabete nelle persone predisposte».
Alla luce dei buoni risultati ottenuti con enfuvirtide nella riduzione della carica virale, sono in corso numerose ricerche per capire se il farmaco possa essere impiegato anche nei pazienti allo stadio iniziale della malattia. «Riteniamo infatti che – sottolinea Di Perri – per le sue caratteristiche, la molecola possa essere utilizzata anche prima di arrivare al multifallimento. Già al primo stadio, o addirittura in una strategia di attacco immediata, parallelamente a una terapia antiretrovirale a lungo termine».

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