In una recente sentenza, la Corte Europea dei Diritti Umani afferma che la mancata concessione di uno status legale alle coppie dello stesso sesso rappresenta una violazione della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, con particolare riferimento al caso della Polonia.
“La Corte ha ritenuto che lo Stato polacco non abbia adempito al suo dovere di garantire che i ricorrenti disponessero di un quadro giuridico specifico che prevedesse il riconoscimento e la protezione delle loro unioni omosessuali” – si legge in un comunicato della CEDU – “Tale inadempimento ha comportato l’incapacità dei ricorrenti di regolare aspetti fondamentali della propria vita, costituendo una violazione del loro diritto alla dignità privata e familiare“.
Il caso in esame riguarda cinque coppie omosessuali polacche, le cui richieste di riconoscimento legale sono state ignorate dalle autorità. La motivazione addotta si fonda sull’interpretazione del matrimonio come legame riservato esclusivamente all’unione tra un uomo e una donna.
Negli ultimi otto anni, la Polonia è stata ripetutamente al centro dell’attenzione internazionale per le sue politiche marcatamente omofobiche e transfobiche. Analogamente all’Italia, anche qui persiste l’assenza del matrimonio egualitario e del diritto all’adozione per le coppie dello stesso sesso. Inoltre il paese ha visto l’implementazione delle cosiddette “LGBT free zones”, zone interdette alla comunità LGBTQIA+ e fulcro di una lunga battaglia con l’UE.
Eppure, sembra che finalmente le cose stiano per cambiare. Con l’insediamento del nuovo governo progressista di Donald Tusk, la Polonia inizia un lungo e tortuoso cammino per ricostruire i rapporti con l’Europa e invertire la rotta verso l’inquietante deriva autoritaria dei governi ultraconservatori a guida del paese da quasi un decennio.
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