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QUEL DIAVOLO DI UN MODAIOLO GAY

Il fluido romanzo ‘Il diavolo veste Prada’ di Lauren Weisberger è molto più gay del divertente film di David Frankel: Nigel è più effemminato e ci sono personaggi che sullo schermo spariscono.

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Vi sono alcune rilevanti differenze fra il romanzo Il diavolo veste di Prada (Piemme) di Lauren Weisberger, ex assistente della temuta direttrice di Vogue America Anne Wintour, e l’omonimo film di David Frankel, uno dei registi di Sex and the City che si è portato dietro – scelta azzeccata – la stessa brava costumista, Patricia Field.

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Le più significative riguardano il personaggio gay dell’editor Nigel che nel film è interpretato dallo smilzo attore italoamericano Stanley Tucci. Nella versione cinematografica Nigel veste sobriamente e ha modi alquanto composti: nel libro, al contrario, è un gigante di oltre cento chili di muscoli scolpiti per un metro e venti di altezza, gesticola sfrenatamente e si presenta alla pavida Andy (l’aggraziata Anne Hatheway, moglie di Jake Gyllenhaal ne I segreti di Brokeback Mountain) con una tuta intera in denim, pantaloni aderenti, cintura in vita, maniche arrotolate, stivali neri e lucidi tipo Doc Martins e una cappa di pelliccia arrotolata due volte intorno al collo “grande come una coperta matrimoniale”. Si esprime urlando, è effemminato oltre misura (tutto un ‘bellezza’, ‘dolcezza’, ‘bambina’) ma la voce narrante di Andy dimostra una certa stima nei suoi confronti: «Quello era Nigel – bastava il nome, come per Madonna o Prince – l’esperto di moda che persino io ricordavo di aver visto in tivù e sui giornali […] Quel tipo mi andava a genio».

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Nigel è tra l’altro l’unico redattore di Runway capace di tener testa all’arcigna direttrice Miranda (interpretata nel film da una carismatica e strepitosa Meryl Streep, un po’ la Madeline Ashton di La morte ti fa bella e un po’ Crudelia Demon) al punto che quest’ultima emette un inatteso ‘quieto bisbiglio di approvazione’ quando lui le grida addosso: «Togliti subito quello straccio! Ti fa sembrare una puttana da due soldi!». Stanley Tucci, a proposito del suo personaggio, spiega: «Definirlo uno snob sarebbe un understatement. Ciò nonostante, Andy e Nigel diverranno presto amici. Miranda, invece, è un osso duro. È ammalata di lavoro. Ha un enorme potere e sa di averlo. Chiunque lavori per lei deve essere a sua completa disposizione. Insomma, non è una persona che si vorrebbe per nemica». Secondo la Streep «Nigel è molto buffo. Una delle pochissime persone che possa dire qualunque cosa a Miranda. D’altra parte sono amici, però Miranda è pur sempre il suo capo, il che rende il loro rapporto piuttosto complesso».

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Sono però molti gli omosessuali che fanno capolino dalle 415 fluide pagine del divertente romanzo della Weisberger ma spariscono dalla narrazione cinematografica…
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Sono però molti gli omosessuali che fanno capolino dalle 415 fluide pagine del divertente romanzo della Weisberger ma spariscono dalla narrazione cinematografica: dal coinquilino gay ventenne che proclama di stare attraversando la sua ‘fase da puttana’ nell’appartamento in cui a Andy viene proposta «una stanza in fondo a un corridoio lungo e nero, senza finestra né armadio» al redattore del reparto Bellezza, un gay ‘con occhioni da cucciolo’ laureato alla Vassar University i cui genitori preferiscono fingere di ignorare le sue inclinazioni sessuali nonostante il figliolo lavori per le pagine ‘Beauty’ del più importante giornale di moda in circolazione. Non manca il femminile James che a un party esclusivo seduce uno ‘schianto con la più bella giacca di pelle mai vista’ dopo averlo visto mangiare ostriche al bar e preferisce farsi dare le sue mutande sul divano di casa piuttosto che il numero di telefono.

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James è ancora più appariscente del ciclone Nigel per cui dimostra anche un debole malcelato: l’art director supergay lo rimbrotta perché «non ci si veste per dire al mondo la posizione che si preferisce». Ne ha ben donde, a giudicare il vistoso look di James non proprio da carmelitana: jeans zebrati, stivali pelosi, cappello di paglia, eye-liner color carbone (un tocco, giusto per rendere l’idea) e una maglia nera con un buco a forma di serratura sulla schiena. Il ritmato film di Frankel condensa tutta la parte delle vessazioni a cui è sottoposta la povera Andy costretta a fare da segretaria tuttofare senza la possibilità di una minima pausa: spariscono così il cucciolo di bulldog francese Madeleine che Andy crede una donna, l’autista gentile dell’Elias-Clark a cui Andy offre il pranzo, il rito dei 256 regali di Natale da impacchettare o scartare. Si riduce poi a qualche serata al pub il rapporto con la grande amica Lily, barista ‘parcheggiata’ all’Università dove frequenta un corso di dottorato in russo scelto perché da piccola un fascinoso professore di letteratura le aveva detto che assomigliava a Lolita, la sensuale eroina di Nabokov. Anche la parte finale a Parigi (descritta nel film in maniera molto stereotipata, tutta glamour e lucine) risulta molto più ampia nel libro e Andy arriva a sostituire Miranda nella consegna di un premio per i servizi di moda di ‘Runway’ di cui però si dimentica di ritirare la targa.

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Sono state invece conservate le schermaglie amorose in odor di tradimento col fascinoso Christian che mette a nudo le difficoltà di conciliare la relazione con Alex e gli oberanti impegni lavorativi di Andy (ma manca il viaggio in Asia col fidanzato). Ma esattamente come il libro, Il diavolo veste Prada visto al cinema è puro entertainment hollywoodiano, diverte con intelligenza senza esagerare con passerelle e gossip ma, in definitiva, senza scavare molto a fondo nell’universo fashion: forse ha ragione Armani, ‘epurato’ nel film (c’è invece un cameo di Valentino nel ruolo di se stesso) anche per una querelle con la Wintour in cui polemizzò per la scarsa copertura sulle sue creazioni, ma intenzionato a produrre un lungometraggio che faccia finalmente chiarezza sull’argomento e renda giustizia a chi si occupa di moda.
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