Il ponte sullo stretto, Paolo Borsellino, i banchi a rotelle, la serie tv Sanpa, le droghe e ovviamente lui, il solito e proverbiale attacco alle famiglie arcobaleno. Matteo Salvini, in diretta tv al Senato nel giorno del voto alla fiducia al Governo Conte, ha detto di tutto e di più, attaccando puntualmente le mamme lesbiche e i papà gay, strappando applausi dal vicino Simone Pillon.
“Pensiamo che la mamma si chiami mamma e il papà si chiami papà”, ha rimarcato il leader della Lega, se non fosse che anche i figli di coppie gay chiamino i propri genitori mamma e papà. Salvini voleva così criticare, ancora una volta e in modo del tutto gratuito, la doverosa decisione del Governo di ripristinare la dicitura “genitore o chi ne fa le veci” sulle carte d’identità dei minori, come imposto da una norma del 2015, violata nel 2019 proprio da Salvini. Se non fosse vergognoso, ci sarebbe da ridere.
“Ovviamente Salvini in Senato non manca di attaccare i diritti delle donne, di svilire i diritti civili e la dignità di ogni tipo di famiglia“, ha replicato con durezza Alessandro Zan. “E poi offende i senatori a vita. Questa è la sua idea di futuro oscuro e oscurantista. Questo è il bivio a cui si trova il Paese“. Salvini, principe dei provocatori, ha infatti riportato in aula una vecchia dichiarazione di Beppe Grillo sui senatori a vita (“non muoiono mai o muoiono troppo tardi“), scatenando la bagarre.
Tra chi ha rinnovato la fiducia al governo anche la senatrice Pd Monica Cirinnà, in quanto “consapevole del lavoro che c’è ancora da fare per ridare una speranza all’Italia, per costruire coesione, nel segno dell’eguaglianza e dell’inclusione“. Giuseppe Conte, al termine di una giornata infinita, ha ottenuto la fiducia con 156 sì (compresi quelli degli ex forzisti Maria Rosaria Rossi e Andrea Causin, di Lonardo Mastella, Tommaso Cerno e Riccardo Nencini), 140 no e 16 astenuti, ovvero quei renziani così rimasti con le unghie e con i denti all’interno di una partita politica che non fa bene al Paese, teoricamente in altre faccende affaccendato. Con numeri simili, che soprattutto in commissione diventano ancor più ingestibili, inutile sottolineare come la legge contro l’omotransfobia, la misoginia e l’abilismo appaia sempre più una chimera.