Nella giornata di ieri il tribunale civile di Roma ha ribadito l’illegalità della norma voluta da Matteo Salvini nel 2019, quando da ministro dell’interno impose sulle carte d’identità dei minori la dicitura “padre e madre”. Dinanzi alla denuncia di due mamme, che si sono rifiutate di cedere all’obbligo ministeriale di far scrivere “mamma e papà” sui documenti della figlia, il tribunale ha precisato come “un documento che indichi una delle due donne come “padre” contiene una rappresentazione alterata, e perciò falsa, della realtà ed integra gli estremi materiali del reato di falso ideologico commesso dal pubblico ufficiale in atto pubblico”.
Un trionfo per le famiglie arcobaleno, che da 3 anni gridano allo scandalo per quella norma poi mai cancellata neanche dal Governo Conte II e dal Governo Draghi, con Matteo Salvini che ha finto stupore, e soprattutto di non capire quanto deciso dal giudice, criticandolo apertamente nella serata di ieri
“Usare sulla carta d’identità le parole PADRE e MADRE (le parole più belle del mondo) secondo il Tribunale Civile di Roma sarebbe una violazione delle norme comunitarie e internazionali, da qui la decisione di sostituirle con la più neutra parola “genitore”. Illegali o discriminanti le parole MAMMA e PAPÀ? Non ho parole, ma davvero“, ha scritto il leader leghista, attuale ministro delle infrastrutture del governo Meloni. Evidentemente Salvini non coglie la follia giuridica e burocratica nel voler imporre ad una di due mamme la dicitura “papà” e ad uno di due papà l’etichetta “mamma”.
Da Palazzo Chigi, nel frattempo, fanno sapere che “l’ordinanza del Tribunale civile di Roma sulla qualifica di genitore nella carta di identità elettronica risale al 9 settembre 2022 e non è stata impugnata dal ministero dell’Interno. La decisione sarà esaminata dal governo con particolare attenzione perché presenta evidenti problemi di esecuzione e mette a rischio il sistema di identificazione personale“.
Un’evidente realtà che le associazioni LGBTQI+ denunciano da anni, dinanzi al menefreghismo della politica e agli sfottò della destra nazionale, che ha inventato di sana pianta la panzana di “genitore 1 e 2” per sminuire il dibattito, che mai ha contemplato alcuna numerazione. Prima che Salvini mettesse bocca sull’argomento, nel 2019, sui documenti c’era semplicemente scritto ‘genitore’, in modo del tutto neutro.
“Il Tribunale di Roma ha dato torto a Salvini che, nel 2019 da ministro dell’interno, voleva cancellare a colpi di decreto le Famiglie Arcobaleno“, ha cinguettato Alessandro Zan. “Ancora una volta la destra fa provvedimenti illegali per ottenere facile consenso, colpendo i diritti di famiglie e dei loro figli”.
Eugenia Maria Roccella, ministra per la famiglia, la natalità e le pari opportunità, non ha ancora proferito parola sull’argomento. Giustamente felice, invece, Alessia Crocini, presidente di Famiglia Arcobaleno che ha così festeggiato la sentenza del tribunale civile di Roma.
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