Chi ha contestato il sindaco di Milano Beppe Sala al Pride? Intervista esclusiva

Abbiamo parlato con le Collettive Femministe Queer, che sabato 25 giugno hanno contestato il sindaco di Milano durante il suo discorso al Pride.

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6 min. di lettura

Chi sabato scorso dopo la parata del Pride di Milano era presente in piazza Oberdan ricorderà bene il momento: arrivati sotto il palco montato in porta Venezia, il susseguirsi festoso dei discorsi dei vari rappresentanti delle istituzioni ha visto un momento di interruzione quando, una volta giunto sul palco il neoeletto sindaco Beppe Sala – tra l’altro ex commissario unico e amministratore delegato per Expo 2015, un gruppo di contestatori ha provato a far sentire la propria voce, interrompendo con frasi urlate al megafono il discorso del primo cittadino milanese. Si trattava del gruppo Collettive Femministe Queer, una rete di militanti e associazioni “non allineate” che rivendicano un punto di vista fortemente critico all’interno del movimento LGBTQI. Abbiamo incontrato due ragazzi che ne fanno parte: Laura, 22 anni, studentessa di chimica a Milano e Enrico, 23 anni, che studia filosofia anche lui a Milano, entrambi di Varese. Ecco cosa ci hanno detto.

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Ciao Laura, ciao Enrico, innanzitutto una premessa: chi sono le Collettive Femministe Queer e che istanze portano avanti?

Enrico: Non possiamo dare una linea direttiva precisa dicendo che siamo qualcosa in particolare. Siamo una molteplicità di realtà LGBT e non solo. Includiamo ad esempio gruppi antispecisti, ma anche gente interessata alla politica dei migranti. Come collettive siamo più uno spazio per creare dialogo e momenti di critica. Non siamo un blocco monolitico. Siamo state definite ‘anarchiche’ o ‘no expo’, tutte definizioni che non rinneghiamo ma che non esauriscono quello che siamo.

Mi interessa molto la questione del femminile. Che identità cercate di rappresentare? E’ interessante anche il vostro uso del linguaggio: declinate tutto al femminile, anche per i vostri militanti maschi.

Laura: E’ un tema centrale per noi. Siamo nate come No Expo Pride l’anno scorso, poi abbiamo deciso di rivolgersi verso altre questioni. Abbiamo scelto il femminile non tanto come fatto identitario, piuttosto per rivendicare qualcosa di diverso, per dare rilievo a tutto ciò che troppo spesso viene lasciato ai margini della società. La femminilità è il bersaglio principale delle discriminazioni. Il modello vincente è quello dell’uomo bianco, eterosessuale, privilegiato, dotato di capacità e caratteristiche fisiche. Concentrarsi sul femminile significa denunciare il predominio di un’unica forma dell’essere umano che viene continuamente imposta. Anche nella comunità LGBT spesso si tende a fare leva sul machismo, a rifiutare il femminile. Questo fa cadere anche il movimento LGBT negli schemi patriarcali, non lo rendono veramente progressista.

Veniamo a sabato scorso, 25 giugno, al Pride di Milano. Come avete vissuto la parate prima dei comizi finali? Come vi siete mosse nell’ambito del corteo?

Laura: Eravamo presenti con il nostro spezzone, eravamo “in regola”, riconosciute dal Movimento Arcobaleno come una delle organizzazioni che avrebbero aderito al Pride. Eravamo inserite in modo costruttivo. Ci preme dire infatti che non siamo andate lì per contestare e basta. Sicuramente portavamo un punto di vista meno comune, antagonista, ma al corteo c’eravamo, ci siamo divertite, abbiamo parlato delle nostre attività. Certo: alcune cose che abbiamo visto non ci sono piaciute. Vedere, ad esempio, che il Pride è per molti brand un momento per fare pubblicità: secondo noi questo è molto distante dai contenuti politici che dovrebbero essere veicolati. Ci è dispiaciuto, per dirne una, vedere Vitasnella tra gli sponsor. Un brand che ha fatto la sua fortuna sulle insicurezza delle donne, su contenuti sessisti. Ci è sembrato ossimorico.

Enrico: Indubbiamente volevamo essere provocatori, sopratutto nei toni. Tra di noi abbiamo molto discusso se partecipare o meno. La vetrinizzazione commerciale del Pride non la condividiamo.

Arrivano al punto: molte persone erano lì in piazza Oberdan alla fine del corteo e hanno sentito – in un momento che per molti era positivo, bello, forte dal punto di vista simbolico, coi due sindaci presenti, l’ex Pisapia e il neoletto Sala – qualcosa di stridente, di fuori luogo. Voi come avete vissuto il momento della contestazione?

Laura: Noi due eravamo fisicamente presenti, sotto il palco. Abbiamo vissuto tutto in modo diretto. Sorreggevamo lo striscione con scritto ‘Diritti e città non sono merce’. Una nostra compagna urlava gli slogan no expo. Abbiamo deciso di avviare la contestazione non tanto contro Sala ma quanto più per far sentire la nostra voce di antagonisti. Volevamo opporci al fatto che i diritti LGBT sono spesso strumentalizzati a fini politici, da certi partiti, come secondo noi è stato anche con il ddl Cirinnà. Sala in particolare per noi rappresenta ancora Expo e non tanto l’esposizione – che è finita – quanto piuttosto ciò che Expo ha portato con sé per la città.

Enrico: Volevamo, dopo la Cirinnà, rilanciare la posta in gioco, sia per la legge (che per noi non è sufficiente), sia contro il contesto “predatorio” di un Pride così commerciale. Opporci a Sala per quello che rappresenta: una Milano patinata, con costi classisti, sempre più distante da una fetta della comunità LGBT. Noi non volevamo sovrapporci, ma volevamo che la nostra fosse una delle voci presenti. Abbiamo sentito intolleranza da parte di chi ci circondava, soprattutto degli altri manifestanti. Ci hanno dato dei fascisti, ci hanno dipinto come gente di destra. Ci siamo sentiti profondamente respinti, anche fisicamente, con spintoni e sputi.

Ok, ma non vi sembra una modalità machista, patriarcale, l’impedire a qualcuno a parlare? Non sarebbe stato meglio trovare una modalità diversa, più femminile, più ricettiva? 

Enrico: Sì, capiamo la questione. Inizialmente infatti noi volevamo uscire dal corteo e andare anche fisicamente altrove. Magari facendo una performance, con ospiti che ci aiutassero a parlare dei nostri temi.

E come mai non è stato portato a termine questo piano alternativo? Volevate far sentire la vostra voce ma non vi sembra che in politica, nei contesti ampi, ci devono essere delle regole e dei compromessi?

Laura: Sì, lo capiamo. Le Collettive organizzano momenti costruttivi, di dialogo e scambio. Siamo una presenza costruttiva per Milano. L’atto del Pride è stato un atto provocatorio, è vero, forse aggressivo. Abbiamo però deciso di farlo perché è con aggressività che certi modelli, certe idee e certe politiche si affermano a Milano e al Pride, sopratutto le realtà commerciali.

Mi viene da dire che l’impressione è che leghiate in modo molto stretto le rivendicazioni di genere a delle questioni diverse, che non sono implicate direttamente da quelle di genere. Poniamo: ci possono essere omosessuali di destra o trans che amano Vitasnella. Che ne è di loro? Il Pride in questo senso non è forse più inclusivo?

Laura: Noi come gruppo crediamo molto nell’intersezionalità delle lotte, ovvero non pensiamo che si possa parlare di femminismo e questioni LGBT senza fare riferimento a molte altre situazioni, sociali e economiche. La radice della disuguaglianza per noi è una, non è divisibile.

Temo che questo vi renda un po’ esclusivi. Questo vostro essere critici verso molti fenomeni della contemporaneità potrebbe far sì che la maggior parte delle persone per voi risultino “sbagliate”, da “raddrizzare”, no?

Laura: Per noi esclusiva è una città in cui la cultura non accessibile a chi non ha il portafoglio pieno. Non prendere il megafono e dire No Expo davanti a Sala.

Enrico: Non pensavamo che portare la nostra idea potesse essere visto come un atto così violento, anche nella nostra modalità diretta, forte. Ci è sembrata esclusiva, escludente la reazione che ci hanno rivolto contro.

Ragazze, è inevitabile: nel momento in cui si decide di violare le regole di un contesto particolare com’è quello di una manifestazione così grande, non c’è tanto da stupirsi. In contesti del genere c’è una forte mobilitazione per mantenere l’ordine pubblico.

Enrico: Infatti non è solo per la security, che comunque riteniamo esser stata troppo aggressiva. Lo diciamo anche rispetto al popolo arcobaleno: ci aspettavamo sì di essere scortati fuori dal corteo, non ci aspettavamo i cori “fuori fuori”, gli insulti e di essere chiamati “fascisti”.

Sono d’accordo con buona parte delle vostre idee eppure ho vissuto il vostro intervento come aggressivo e fuori luogo. Mi chiedo se forse non abbiate fatto male i vostri calcoli. Un problema tipico degli idealismi è ritenere che il fine giustifichi i mezzi. 

Laura: Sembra che abbiamo piazzato una bomba!

Ovviamente no. Stiamo parlando di un livello molto precedente, ma insomma, la direzione è un po’ quella.

Laura: La nostra è stata un’azione non violenta, non pericolosa. Aggressiva sì, ma sappiamo che la nostra voce è minoritaria e volevamo farci sentire. Creare una città che esclude le minoranza e le periferie ad esempio è una forma di violenza. Forse meno evidente, meno d’impatto, ma comunque violenza.

Enrico: Quello che ci dici è venuto fuori anche nelle nostre discussioni, confrontandoci tra di noi. Ci sono state infinite discussioni su come fare questa cosa del Pride.

Non c’è forse il rischio che anche tra di voi funzioni come funziona fuori, ovvero che prevalga quelle che urlano, mentre la minoranza più creativa e moderata resti in silenzio, non rappresentata?

Laura: No, io ci tengo a ribadire che noi siamo state presenti al Pride durante tutto il corteo, in modo costruttivo e creativo. Abbiamo parlato, cantato e distribuito i nostri volantini. Non siamo venuti solo per contestare Sala e non credo che quell’azione abbia invalidato quello che abbiamo fatto prima.

Enrico: La decisione della contestazione è stata una decisione comunque alla fine approvata e sentita da tutti. Non credo che qualcuno abbia percepito questa cosa della sopraffazione. Ci siamo sentite rappresentate pienamente.

Alla luce delle polemiche e delle vostre riflessioni che come Collettive immagino abbiate fatto: lo rifareste?

Laura: In un certo senso preferiamo parlare del futuro. Probabilmente il prossimo anno non aderiremo al Pride. Quest’anno all’inizio pensavamo di fare un nostro Pride più politico, alternativo. Non ci siamo riuscite per questioni organizzative e di tempo. L’anno prossimo cercheremo di farlo. Per chi volesse contattarci abbiamo una pagina Facebook che aggiorniamo costantemente.

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LcKrT 29.6.16 - 9:01

Collettive Femministe, un gruppo che, per ideali e per nome, si rifà a concetti provenienti direttamente dal passato: un passato si recente ma che ha visto cambiamenti che, in Occidente, hanno segnato un netto miglioramento della condizione omosessuale! Miglioramenti portati dall'accettazione, dalla convivenza, dalle Unioni Civili, dai Matrimoni Gay, dalla possibilità di sfilare in strada dimostrando di non aver paura dei giudizi e della violenza omofoba! Ma loro continuano a protestare, perché senza "protesta" non avrebbero motivo di esistere. La protesta "a prescindere" riempie l'ego dei loro componenti. Protestano contro uno Sponsor (che ha speso denaro per se stesso certo, ma anche per la causa omosessuale) contro un Sindaco neoeletto (colpevole di essere stato chiamato a gestire un grande evento internazionale - per le sue doti e la sua onestà, che peraltro ha lasciato alla città di Milano un nuovo volto, internazionale, moderno e rinnovato), contro un'intera comunità (rea a loro parere di aver accettato quelle che loro definiscono "briciole"). La contrapposizione è la loro unica arma per sopravvivere, perché senza di essa non avrebbero ragione di esistere. Il prossimo anno, non dovrebbero essere loro a non aderire al Pride, bensì dovrebbero essere gli organizzatori del Pride a non accettare la loro presenza! Perché sputare in faccia a chi sta lavorando per migliorare la condizione sociale di milioni di omosessuali nel nostro Paese, è il modo migliore per bloccare tutto e lasciare che la macchina della parificazione dei diritti si fermi dov'è...

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Valium 28.6.16 - 17:19

" Non possiamo dare una linea direttiva precisa dicendo che siamo qualcosa in particolare. Siamo una molteplicità di realtà LGBT e non solo. Includiamo ad esempio gruppi antispecisti, ma anche gente interessata alla politica dei migranti. Come collettive siamo più uno spazio per creare dialogo e momenti di critica. Non siamo un blocco monolitico." EEEHH???!?! Ma che roba è? Una setta grillina? Un giocare a chi è più alternativo? Già la definizione sembra un testo futurista, leggendo oltre non capisco come possano rifiutare la definizione "fascista"!

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fabulousone 28.6.16 - 11:34

Roba allucinante. Letteralmente. Abbiamo una grande città che ci accoglie e ci rispetta, con il sindaco neoeletto che partecipa da subito al pride e quello uscente insieme a lui, aziende importantissime che fanno la fila per sostenerci, eccetera eccetera e queste qua evidentemente rimaste all'età della pietra si mettono a contestare, dicendo cose che non c'entrano alcunché, come quelle sull'expo, e parlando tra l'altro totalmente a sproposito di sessismo, sfruttamento, patriarcato e eteronormalizzazione, schierandosi a tutti gli effetti contro i nostri diritti. Queste qua sono le tipiche persone che per cercare di sentirsi progressiste più progressiste delle altre persone progressiste fanno il giro e diventano a tutti gli effetti conservatrici e retrograde. Si vergognino.

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