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Varichina, quella mossetta che scandalizzava la Bari anni Settanta

Oltraggioso, urlante, animalesco: la vita reietta di Lorenzo De Santis in arte Varichina ricostruita nella docufiction di Antonio Palumbo (intervistato da noi) e Mariangela Barbanente.

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“Tutti qua dovete venire!” E giù una pacca sul sederone ancheggiante. Era lo storico mantra di un personaggio scandalo della Bari anni Settanta, Lorenzo De Santis detto Varichina (perché da piccolo vendeva candeggina, porta a porta, girando in bici), appariscente gay ante litteram e ante qualsiasi-idea-di-Pride, creatura aliena per la società borghese di allora, “primo, anzi unico omosex oltranzista, urlante, pressoché animalesco della storia incolore di Bari” come lo definisce il giornalista Alberto Selvaggi. È il fenomenale protagonista, interpretato dall’ottimo Totò Onnis, dell’intensa docufiction Varichina – La vera storia della finta vita di Lorenzo De Santis presentata con successo al Biografilm Festival di Bologna conclusosi ieri. Abbiamo intervistato uno dei registi, Antonio Palumbo, che l’ha diretto insieme a Mariangela Barbanente:

Antonio PalumboTu hai realmente conosciuto il vero Varichina?

Sì, l’ho conosciuto quando ero ancora a Bari, avevo vent’anni e frequentavo l’Università. Era un personaggio conosciuto da tutti, nato e cresciuto nel quartiere Libertà. Faceva lunghe passeggiate-sfilate, era molto chiassoso. Mi tenevo lontano, mi imbarazzava, trasformava in volgare tutto ciò che toccava.

Come è nato il progetto “Varichina – La vera storia della finta vita di Lorenzo De Santis” e come mai farne una docufiction codiretta con Mariangela Barbanente?

Mi interessano da sempre i personaggi borderline, sono un fan di Pablo Larrain, soprattutto del film Tony Manero, mi piace molto come è raccontato Mickey Rourke in The Wrestler di Aronofsky, personaggi che lottano per avere la propria dignità mentre tutt’attorno il mondo sembra che ti remi contro. La maschera di Varichina me la sono portata dietro. Poi mi è capitato un articolo goliardico scritto da un giornalista della Gazzetta del Mezzogiorno, Alberto Selvaggi, che lo celebrava chiedendo a gran voce alla cittadinanza un busto per il mito ‘diverso’ Lorenzo Varichina. Lui lo definisce “il primo uomo ad aver celebrato ogni giorno il Gay Pride da solo”. Varichina urlava nella sue scorribande la propria diversità in anni e in una città in cui era difficile persino vestire un pantalone di un colore diverso rispetto agli altri. Ho chiamato Mariangela, una mia conterranea che non conosceva Varichina, e le ho proposto di raccontare questa storia: m’interessava il punto di vista di una donna. Il progetto Memoria dell’Apulia Film Commission ci ha finanziato con trentamila euro.

Varichina 2

La scelta di Totò Onnis è perfetta, riesce a rendere sullo schermo tutta l’umanità senza cadere nel ridicolo o nel semplice travestimento: incarna davvero l’anima di Varichina…

Ci conosciamo da vent’anni. Gli volevo proporre un personaggio secondario che non abbiamo montato. Mi disse con entusiasmo: “Sono io Varichina! È da una vita che lo voglio fare”. Piano piano mi convinse. È stata una scommessa vinta.

Onnis ha dichiarato di essersi affaticato sul set: le lente spesse erano vere…

Facciamo appello al metodo Strasberg! Era necessario avere quelle lenti con meno otto diottrie e Totò non sopportava le lenti a contatto per compensarle. Una fatica boia. Ha contribuito a renderlo più goffo com’era Varichina.

Varichina 3

Emerge bene la solitudine di Varichina: un vero antieroe reietto, era emarginato persino dagli omosessuali

Sì, i gay vivevano con la paura costante di essere menati o messi alla berlina. In provincia si fa ma non si dice: quanto meno visibilità avevi, meglio era. Ecco perché infastidiva gli omosessuali che per esempio frequentavano i giardini. Mi interessava raccontare cosa voleva dire essere diverso tra i diversi, a prescindere dall’omosessualità.

È fondamentale questo continuo dialogare tra realtà e finzione: la scena teatrale è molto bella…

Varichina voleva essere una sciantosa ma era rinchiuso nel corpo di un orango. Ho provato a immaginare quale potesse essere il suo più alto desiderio: esibirsi in un teatro come Wanda Osiris.

Nelle vostre ricerche, avete scoperto qualcosa sulla famiglia di Varichina? Vengono citati solo due fratelli…

Abbiamo scoperto una sorella viva di novant’anni che vive con la figlia e suo marito ma siamo stati aggrediti verbalmente in maniera violenta. Non volevano sentire quel nome, “la sorella aveva già sofferta tanto a causa sua”. È un peccato perché avevamo del girato ma non era montabile per questioni tecniche. Ci sono nipoti in giro ma nessuno si è fatto avanti.

Varichina 4

Di materiale fotografico avevate pochissimo, vero?

La foto della lapide, una foto della Questura quando era arrestato e una con le gambe amputate all’interno della casa di cura dove è stato ricoverato ma abbiamo scelto di non farlo vedere mai. Viene messo ai margini persino nella foto al matrimonio.

Riguardo agli ultimi anni della sua vita avete condotto una vera e propria indagine…

Sì, c’era gente che diceva che fosse morto di Aids, altri che si fosse trasferito al nord. Era sparito dalla scene, molti lo conoscevano in maniera superficiale.

Non ritieni che, nonostante il progresso civile, ci sia ancora molto forte lo stigma nei confronti degli effemminati?

È una questione culturale, tutto ciò che è diverso dall’omologazione è diverso e pericoloso. Non riesco a capire come si possano ghettizzare le persone per qualcosa di esteriore.

C’è qualche possibilità di distribuire il film nelle sale?

Siamo in trattativa con un paio di distributori interessati.

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