Salve Dr.Quattrini,
leggo spesso la sua rubrica e pur non condividendo sempre le sue “analisi”, colgo sempre , una saggezza introspettiva nella quale riconoscere qualcosa di me.
Vengo al punto. Ho fatto coming out molti anni fa, da adolescente, in tempi non sospetti e coinvolgendo tutti quelli che direttamente o indirettamente avevano a che fare con la mia vita. Ho vinto resistenze, pregiudizi e forse ho anche “insegnato” a taluni che l’omosessualità non ha niente di patologico e di moralmente ripugnante. Ma oggi, dopo anni, mi chiedo che senso dare alla mia fatica,cosa sia servito affermare se stessi per ritrovarmi a vivere una dimensione straniera e “anormale”. Si, ha capito bene, anormale!
Anormale rispetto ai miei amici e colleghi etero che possono ricambiare sguardi e sorrisi nelle piazze assolate , agli angoli delle strade, sugli autobus affollati , che possono conoscersi e innamorarsi in ogni dove e nei modi più naturali possibili.Senza le devastanti ossessioni di cui noi gay siamo affetti:sarà dichiarato , sarà sposato,sarà bisex, è attivo o passivo…sarò sufficientemente poco effeminato,abbastanza dotato,abbastanza maschio,trandy ma non troppo , bello o sufficiemente ricco? Insomma..l’orrore, l’orrore vero, che abbiamo il “corraggio” di liquidare come gusto personale ,come affinità!
Non so più convincermi, Dr.Quattrini, che il mio naturale destino sia passare le notti in chat sperando, disperatamente, che la persona dall’altra parte dello schermo sia finalmente quella giusta, che il “passeggiante” della libreria gay frendly invece che muto e guardingo come la morte, sia amico di buone e stimolanti conversazioni, che il belloccio da monta mi sorprenda con una carezza o un fiore.
A cosa è servito quello che sono? Se riuscirò a fare quel salto, tra il ponte e l’acqua, io non rimpiagerò questa vita sprecata.
Perdoni lo sfogo.E grazie.
Karl.
Continua in seconda pagina^d
Carissimo Karl,
ho la sensazione che una mail non servirà a placare la rabbia e l’angoscia espressa nel tuo “sfogo”. Sono convinto che il superamento delle difficoltà incontrate nel tuo percorso, affrontate e sostenute dall’importante cammino di autoaffermazione dell’orientamento omosessuale (coming out), non corrisponda alle aspettative che ti eri prospettato.
Probabilmente è vero che non basta accettare il proprio orientamento, anzi sono convinto che l’outing, oggi, sia semplicemente una prima tappa importante dell’affermazione del sé (etero-omosessuale). Essere omosessuali non significa solamente sbandierare il proprio bisogno di libertà; essere gay o lesbiche rappresenta la normale evoluzione di un individuo.
Se riflettiamo su questa affermazione credo sia necessario dare importanza all’individuo a prescindere dall’orientamento e accettare l’integrazione con il sociale (a maggioranza eterosessuale) in modo naturale e sereno.
Forse oggi più di ieri è necessario non sentire il bisogno di confronto (necessità di riconoscersi liberi solamente dopo la rivelazione della propria omosessualità), ma l’opportunità di vivere se stessi liberi e svincolati dai nostri stessi pregiudizi.
L’omosessuale che continua a chiudersi nel mondo che gli stessi omosessuali hanno costruito per contrastare l’eterosessualità, oggi necessità di un inquadramento totalmente rinnovato. Non è un dato assoluto il fatto che solamente gli eterosessuali possono concedersi il lusso di ricambiare gli sguardi “in piazze assolate, agli angoli delle strade, negli autobus affollati”, anzi è possibile (contesto sociale permettendo) che anche i migliori incontri tra omosessuali avvengano proprio in quell’ambito.
Che dire poi della moda degli stessi eterosessuali del “trasgredire” utilizzando luoghi e contesti di natura prevalentemente omosessuali (un esempio è il gay village, piuttosto che muccassassina)…oppure del bisogno d riscoprire elementi proibiti come le dark room (alcuni locali etero sembrano essersi adeguati!). E’ sufficiente definirli “gay-friendly”?
L’omosessuale più dell’eterosessuale deve costantemente adattarsi ai cambiamenti, deve accettare di utilizzare la propria intelligenza e sensibilità per raggiungere la propria serenità. L’omosessuale deve convincersi realmente di non essere “anormale” e non perché manuali scientifici e ricerche illustri possono aver sostenuto l’ipotesi, ma perché “essere” diventa più importante che “divenire”!
Rimango a tua disposizione per ulteriori chiarimenti
Un abbraccio,
Dr. Fabrizio Quattrini
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di Fabrizio Quattrini
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