Le Karma B sono MaschiE e ci raccontano quello che gli uomini non dicono – intervista

Dopo una stagione televisiva particolarmente fortunata, le Karma B tornano a teatro con un nuovo show: "MaschiE. Quello che gli uomini non dicono". Le abbiamo intervistate.

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Le Karma B sono MaschiE e ci raccontano quello che gli uomini non dicono - intervista - Sessp 20 - Gay.it
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La leggerezza oggi, in questo mondo al collasso, è un privilegio e una necessità. Che poi essere leggerə non significa esser ciechə né superficiali, ma anzi provare a utilizzare la consapevolezza per alleggerire i macigni. Di questo le Karma B, che tra qualche giorno debutteranno a teatro con il loro nuovo spettacolo, MaschiE. Quello che gli uomini non dicono, hanno fatto la cifra della propria arte. Come Escher, il visionario olandese, anche loro creano mondi alternativi e rendono tangibili le utopie che credevamo solo immaginabili.

Le abbiamo intervistate.

Cosa ci dobbiamo aspettare?

Abbiamo messo in piedi una sorta di lectio magistralis sull’universo maschile. Ci siamo inventate maschiologhe: in quanto individui che transitano da una realtà l’altra, abitandole entrambe e nessuna, ci sentiamo di poter dire la nostra e di poter svelare qualche piccolo segreto. Quindi sì, sarà una lectio magistralis, ma anche un concerto, anche un seminario. Sopravvive il nostro desiderio di comunicare con il pubblico in modo diretto. Nei nostri spettacoli la quarta parete non è mai esistita. Qualche giorno fa, alcuni autori con cui collaboriamo ci hanno fatto un bellissimo complimento: hanno detto che questo spettacolo è per tutti. Noi vogliamo parlare a tutte e tutti.

Quali sono le cose che ancora gli uomini non dicono?

Per cultura, sono ancora reticenti a non esprimere alcuna emozione. È colpa del patriarcato, della mascolinità tossica. Sono i maschi le prime vittime, poi a catena ne soffre tutta la società. Tra l’altro, si tratta di una gabbia che trascende ogni identità sessuale. Anche i maschi gay sono altrettanto avviluppati nelle maglie di una performatività di genere che si basa su standard di fatto irraggiungibili.

 

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Stanno migliorando le cose? 

Quando abbiamo cominciato, eravamo visti come persone senza dignità né funzione sessuale. Ora, invece, questa cosa è stata messa in discussione. Le giovani drag e le persone non-binary riescono più facilmente ad avere relazioni sentimentali, per esempio. C’è più accettazione, senz’altro. Noi abbiamo dovuo fare coming-out due volte: una prima volta, in quanto maschi gay, con le nostre famiglie. Una seconda volta, con i nostri amici della comunità, in quanto drag queen. Fare drag è più cool, oggi. Sembra che la situazione sia cambiata anche sulle chat di incontri: anni fa la mascolinità tossica era la regola, oggi un po’ sopravvive, ma tante persone sono orgogliose della propria fluidità, che viene più tollerata. 

Si esacerbano le sacche di resistenza a questi cambiamenti, però.

Molti credono che la maschilità sia sotto attacco e quindi, sì, rispondono con messaggi più feroci. 

Vi vengono in mente modelli maschili positivi oggi?

Claudio Marchisio, perché appartiene a un mondo assolutamente machista però diffonde messaggi positivi di inclusività e accettazione. 

Donne, invece?

Tutte, perché vivono un periodo difficile, le loro conquiste sono costantemente minacciate e messe in discussione. Tutte tranne quelle che perpetuano il patriarcato.

Patriarcato interiorizzato.

Per molte è così, per altre è semplice convenienza politica. È recente la notizia della nascita di una costola di Forza Nuova tutta femminile. Donne che difendono il patriarcato, che danno la colpa della violenza di genere al femminismo, che credono che gli uomini violenti siano in realtà uomini protettivi. Sono vittime e carnefici. 

PH. Paolo Lombardo

Tornate in teatro dopo un periodo in televisione: è cambiato il vostro linguaggio?

No, dài, non ci sembra. I mezzi sono sicuramente differenti, ma il linguaggio può essere lo stesso. Fare teatro, però, è come guidare un’automobile con il parabrezza sgombro. Fare TV, al contratio, è come guidare con il parabrezza oscurato. Vedi solo la lucina rossa della telecamera, stop. Quello che succede lo scopri dopo, non hai una risposta immediata. Bisogna sapere guidare in entrambi i casi, questo è certo.

Molti comici lamentano oggi le difficoltà che incontrano a causa del cosiddetto «politicamente corretto». È così? Credete anche voi sia più difficile fare spettacolo a queste condizioni?

Di solito questi comici parlano da una posizione privilegiata, ancora figlia di un’epoca in cui far ridere era sì più semplice perché c’era meno consapevolezza. Bisogna avere qualche accortezza in più rispetto a prima quando si lavora a un testo, ma per noi non è uno sforzo, perché la nostra mentalità è già abituata a quel modo di vedere le cose. Si può comunque far ridere avendo rispetto del pubblico: noi non amiamo il termine «politicamente corretto», preferiamo dire «umanamente corretto».  Se una cosa non ci sembra umanamente corretta, la cambiamo, la sistemiamo. Occorrono dieci minuti in più, si può fare. La nostra chiave è spesso l’autoironia, prendiamo in giro noi stessi. Questo appunto sul politicamente corretto ci sembra un po’ comodo, tra l’altro: non è che ora siamo più suscettibili, è che prima non avevamo la voce per esprimere il dissenso. 

Si può dire tutto?

Quasi, alcune cose non si devono più poter dire. Non è così difficile trovare altre parole, basta volerlo.

La satira, tra l’altro, ha senso di esistere se colpisce il potere, mica i più deboli. 

Esatto! Noi guardiamo con interesse alla stand-up comedy americana e lì è molto chiaro come la comunità possa giocare più facilmente con gli stereotipi, perché lo fa dall’interno. Il contesto è sempre importante: le cose dipendono da chi le pronuncia. 

Voi riuscite sempre, e con grande disinvoltura, a coniugare contenuto a leggerezza. Come lavorate a questo aspetto?

Noi vogliamo sempre tenere insieme più aspetti: leggerezza e contenuto, maschile e femminile. Facciamo fatica a collocarci, è la nostra forza. Una nostra cara amica, Beatrice Dondi, giornalista dell’Espresso, in un suo articolo scrive che non bisogna confondere le cose senza peso con le cose senza spessore. Le cose possono essere leggere, ma riempire una stanza intera. Noi vogliamo fare proprio questo: raccontare qualcosa mantenendoci soffici.

Cos’è la leggerezza?

Una forma di sopravvivenza.

PH. Paolo Lombardo

Rispetto a cosa?

Rispetto al mondo: è un momento storico drammatico e non dobbiamo per forza ridere di tutto, non dobbiamo per forza sdrammatizzare. Però, quando si può e per quanto si possa, possiamo tentare di alleviare questo peso che il mondo sta portando. Non si può eliminare, possiamo solo provare a sostenerlo insieme come comunità sociale.

È questo il senso del fare intrattenimento oggi. 

Forse sì. Noi riceviamo ogni giorno molti messaggi da parte di chi ci segue, abbiamo un rapporto diretto con loro. Spesso ci raccontano le loro fatiche e ci ringraziano perché abbiamo contribuito ad alleviare quel peso.

Mi viene in mente Brecht quando in Canto tedesco scrive: «Nei tempi bui / si canterà? / Si canterà. / Dei tempi bui»

Sì, ma anche Escher, che creava mondi impossibili. Lui diceva: «Il mio lavoro è un gioco, ma è un gioco molto serio». È così anche per noi.

 

 

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