A un mese e mezzo dalla morte della 31enne Alessia, deceduta in totale solitudine causa leucemia e ripudiata dai genitori perché transgender, un’altra donna trans ha dovuto subire l’umiliazione del nome al maschile sui tradizionali manifesti mortuari. Alessia, 46enne morta all’Ospedale Civico di Pescara, è stata ricordata con il suo vecchio nome.
“Un altro caso mancanza di rispetto per l’identità di una persona trans nemmeno da morta è stata considerata nel giusto modo, mancanza di rispetto proprio“, ha scritto sui social Giovanna Gio Miscia, denunciando per prima quanto accaduto. “Dopo Alessia, dopo Valentina, dopo chissà quante e quanti invisibil*, ancora il macabro utilizzo dell’egoismo nella totale negazione all’esistenza“, ha continuato Daniela Lourdes Falanga, presidente di Arcigay Antinoo Napoli. “Così una donna ridiventa un uomo nel silenzio della morte. Spero in un percorso di consapevolezza delle famiglia“.
Dura anche Vladimir Luxuria, via Twitter: “Due volte il nome di Alessia censurato, due volte la dignità di una defunta calpestata, due volte un manifesto funebre non per la scomparsa di una persona ma la morte della pietas e della comprensione. In una futura legge contro la transfobia, ricordiamolo”.
Un affronto postumo, quello del manifesto mortuario con il nome volutamente sbagliato, che tante, troppe famiglie non riescono a cogliere, nel suo essere terribilmente denigratorio e transfobico. Sporcando irrimediabilmente la memoria dei propri cari.
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