Contro ogni pronostico (insomma), anche nel 2022 sarà Amadeus a condurre e a dirigere artisticamente il Festival della Canzone Italiana di Sanremo. Il conduttore, forte dell’incredibile successo televisivo e radiofonico del concorso andato in scena a marzo, tornerà sul palco dell’Ariston dal 1° al 5 febbraio del prossimo anno per celebrare il padre di tutti gli eventi tv nazionali. Sebbene con un mese di ritardo sulla tradizionale tabella di marcia, lo show è ancora lungi dall’essere allestito alla perfezione, con l’annuncio del conduttore arrivato a sorpresa nel corso dell’ultima edizione serale del Tg1.
Le canzoni in gara devono essere ancora presentate, la squadra a supporto della produzione e della conduzione idem, con un Amadeus però già affamato di riviera ligure, desideroso di concludere le ferie estive per buttarsi a capofitto sulla scrittura dell’evento, che negli ultimi anni si è distinto per la rottura di certi cerimoniali e una maggiore attenzione all’inclusività. Nata sotto le cattive stelle delle polemiche sulle frasi sessiste durante la presentazione delle co-conduttrici di Sanremo 2020, l’esperienza con la kermesse di Amadeus ha assunto poi toni di apertura e di dialogo, forte del coinvolgimento di un ampio numero di artisti della nuova generazione, che con la loro musica si fanno testimoni di un profondo rinnovamento culturale.
Non possiamo non menzionare la “rivoluzionaria” vittoria dei Måneskin, la band che sta attirando la curiosità del mondo con il suo rock sfrontato e virale, prossima a collaborare perfino con Iggy Pop. Senza remore i quattro giovani romani si sono schierati sin dal principio, dalle prime performance ad X Factor nel 2017, dalla parte di chi vuole vivere in libertà, riuscendo ad essere politici per il solo fatto di esistere. Insieme al loro, sul palco fiorito di Sanremo, anche l’abbandono di ogni forma di etichetta de La Rappresentate di Lista, il duo che ha soprannominato il proprio electropop “queer pop”, termine che grazie alla loro presenza all’Ariston è riuscito ad intrufolarsi nei contenitori pomeridiani generalisti di Rai 1.
Vallo a spiegare che cosa si intenda con “queer”, molto meglio farlo ascoltare e vedere. Il valore dei sensi che supera le definizioni e fa scuola, con lo stesso spirito con cui Achille Lauro ha messo in scena i suoi quadri dedicati ai generi musicali che hanno influenzato la sua arte, trionfo di estetica fluida e richiami ad icone di stile come Mina e, nel 2020, a David Bowie. E poi Madame, sposa della sua Voce, che nella cover di Prisencolinensinainciusol fa indossare ad alcuni artisti del suo corpo di ballo grembiuli che spezzano la dicotomia di genere, fra divise rosa e celesti. E i fiori, che nella serata finale sono stati consegnati per la prima volta ad alcuni artisti di sesso maschile, in risposta alle provocazioni di chi nel corso delle serate richiedeva a gran voce un nuovo equilibrio. E il monologo passionale dell’attrice Antonella Ferrari, malata di sclerosi multipla. Alcune pillole, piccole gemme se confrontate con la scarsa rappresentatività dei temi cari alla comunità LGBTQ+ e a chi fa dei diritti civili un proprio baluardo, ma che hanno fatto la differenza, tanto da accendere la pur facile vena polemica dei soliti Pillon ed Adinolfi.
Però un invito ad Amadeus tocca farlo. Felicissimi per il triplete, ma lo vogliamo fare un altro passo in più? Corriamo un rischio maggiore, che è un rischio calcolato perché dalla parte giusta della storia, con maggiori spazi ed interventi legati ad alcuni temi ancora troppo caldi nella nostra agenda nazionale? Non un Sanremo politico, con i testi militanti, basta continuare a parlare di amore, in puro stile festivaliero. Un amore più colorato, senza macchiette o quote da dovere riscattare per fare contenti un po’ tutti. “Si può dare di più“, come Tozzi, Ruggeri e Morandi cantavano in quell’87, proprio tra i fiori della manifestazione canora.
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