Cara figlia, sono orgoglioso di essere gay

I moti di Stonewall e il suicidio di Matteo, le nozze gay spagnole e i rapporti con la Chiesa. E come questo faccia parte della nostra vita. In libreria, "Lettera di un padre omosessuale" di Scalise.

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Se date un’occhiata all’archivio dell’attualità di Gay.it, troverete decine o centinaia di articoli che parlano di discriminazioni degli omosessuali, alcuni addirittura dell’orrenda fine che hanno fatto alcuni giovani gay in Paesi, come l’Iran, in cui la loro condotta li può portare direttamente al patibolo. Troverete notizie sulle leggi che in varie parti del mondo riconoscono alcuni dei diritti per i quali le persone lgbt si battono da anni e altre sulle norme che ancora li rendono cittadini di serie B. Notizie che costituiscono la storia contemporanea della comunità omosessuale ma che molti potrebbero considerare lontane, puramente teoriche, come se non facessero parte della vita delle lesbiche italiane e dei gay italiani. 

Ci vuole uno spirito straordinariamente sensibile alle questioni civili per mostrare con semplicità e rigore quanto tutto questo sia inseparabile dal nostro modo di essere e sentire, come esso costituisca parte di ciò per cui ci battiamo non solo in occasione dell’annuale Gay Pride o di altre manifestazioni, ma costantemente, nella quotidianità, nei rapporti con i vicini, con gli amici, con i parenti e – perché no? – anche con i figli che, per vie diverse, alcuni gay e alcune lesbiche hanno messo al mondo.
Questa straordinaria sensibilità è uno degli ingredienti che rendono Daniele Scalise una delle persone più adatte a spiegare, con semplicità e intelligenza, perché noi siamo anche la storia della nostra comunità, perché dobbiamo difendere e andare orgogliosi della nostra identità così come delle conquiste che abbiamo fatto finora per tutelare la nostra dignità. E, infine, perché è ancora necessario indignarsi con quanti non ci riconoscono. Tutto questo è Lettera di un padre omosessuale alla figlia (edizioni Rizzoli, 144 pagine, 15 euro), il volume uscito lo scorso 16 gennaio in cui Scalise racconta alla propria figlia come ha imparato ad accettare, dopo anni di confusione e un matrimonio di cui proprio lei è uno dei doni più belli, la propria omosessualità e a cominciare ad essere orgoglioso del fatto di essere gay. 

Sì, proprio “orgoglio” è una delle parole che più frequentemente vengono associate nel libro alla condizione omosessuale, un sentimento che nasce evidentemente dal vissuto personale: Scalise, come dice lui stesso, si è “costruito spalle larghe” attraverso un percorso fatto di una cupa depressione, una lotta interiore energica e un desiderio incontrastabile di trovare la propria realizzazione ma anche attraverso lo sforzo necessario per fare coming out nel 1977 in una famiglia di ferventi cattolici… Il suo è

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anche l’orgoglio di chi ha vissuto come proprie tutte le lotte per i diritti delle persone omosessuali, partecipando in prima persona come giornalista, come manifestante e come persona comune che quotidianamente pretende con garbo ma con fermezza il rispetto di chi ha di fronte. È così che nel libro si intrecciano vicende personali e cronache dalla storia gay: il rapporto con il padre duro e dolce allo stesso tempo e le prime manifestazioni del Fuori agli inizi degli anni Settanta, la lettura di Proust e la morte di Penna e Pasolini, il matrimonio e la lotta per la liberazione delle donne.
Ma forse è più sul piano pubblico che le parole dell’autore acquistano maggiore libertà, scrollandosi di dosso quel sacrosanto pudore che giustamente rifiuta di presentare al lettore aspetti della vita personale che non siano strettamente necessari al tema che viene affrontato: qui Scalise dà il meglio di sé, inanellando tutte le “pietre miliari” della storia del movimento gay in una visione personale e viva.
 
La rivolta di Stonewall e le ricerche “scientifiche” sull’origine dell’omosessualità diventano così occasioni per misurare il proprio coraggio e il proprio bisogno di sapere “perché”, l’assassinio di Matthew Shephard e il suicidio del giovane Matteo avvenuto a Torino nella primavera dello scorso anno sono testimonianze toccanti di come si può sentire un gay in una società omofobica come la nostra. E naturalmente nella lunga lettera si parla anche di Aids, di terapie “riparative” dell’omosessualità, della Chiesa cattolica, dell’Islam e di Israele. Né l’autore può rinunciare a inserire un lungo capitolo dedicato a Cuba mostrata come uno dei Paesi più crudelmente omofobi e, nonostante questo, esaltata da molti attivisti omosessuali occidentali di sinistra. Insomma, Lettera di un padre omosessuale alla figlia ripercorre molte delle tappe della nostra storia con la precisione di un saggio e la vitalità di un’autobiografia, fornendo ai lettori etero la possibilità di comprendere meglio la condizione omosessuale e al lettore omosessuale di ritrovare la propria identità in un contesto ampio e vivo che la rende sempre più una cosa, appunto, di cui andare orgogliosi.

(Nella foto Daniele Scalise, a sinistra, con PasqualeQuaranta)

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