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Daniele Gattano, l’intervista: “Chi dice che il coming out non serva vive in una bolla tutta sua”

Abbiamo intervistato Daniele Gattano, tra i comici più esilaranti e originali della sua generazione.

Daniele Gattano, l'intervista: "Chi dice che il coming out non serva vive in una bolla tutta sua" - Daniele Gattano - Gay.it
4 min. di lettura

Seguitissimo sui social, esploso in tv, applaudito a teatro, Daniele Gattano è uno dei comici della nuova generazione più apprezzati e originali d’Italia, anche perché riuscito a sdoganare ciò che si pensava impensabile. La satira omosessuale, fatta da un omosessuale.

Un cambio di rotta tutt’altro che banale per la comicità nazionalpopolare, con il bravo Daniele chiamato ora a spaziare, in modo da non rimanere imbrigliato in un unico ruolo. Nel dubbio, l’abbiamo intervistato.

Daniele Gattano, l'intervista: "Chi dice che il coming out non serva vive in una bolla tutta sua" - daniele gattano colorado - Gay.it

Nel 2016 ti abbiamo imparato a conoscere, televisivamente parlando, grazie a Colorado, su Italia 1. Nel 2019 sei invece tornato in tv grazie a Battute, su Rai 2. Nel mezzo spettacoli teatrali, Pride, sketch social e televisivi, insomma la famigerata popolarità. Quanto sei cambiato, cresciuto, nel corso di questi 4 anni. Com’era Daniele nel 2016, e com’è Daniele oggi.

La famigerata popolarità non direi, il mio portiere ancora non sa come mi chiamo, mi chiama con il cognome del mio coinquilino.
Nel 2016 ero più superficiale ma mi divertivo di più.
Ora mi sento molto cambiato. Ho cambiato idea su molte cose. Sto lentamente cercando di costruire una mi identità morale, mi capita di guardare un film di Ken Loach e di chiedermi: “Ma io cosa sto facendo?”

Tra pochi giorni prenderà vita il Festival di Sanremo, da sempre territorio assai scivoloso per il mondo della comicità. Ti sei mai chiesto perché sia tanto complicato far ridere all’Ariston, e soprattutto se riusciresti a gestire quel palco, quella platea, quell’infinito pubblico televisivo e social. Se domani Amadeus ti chiamasse, cosa gli risponderesti.

Non ride quello all’Ariston ma nemmeno quello a casa. Servirebbe un bel pezzo alla Ricky Gervais ai Golden Globe 2020 per svegliare tutti. Ma l’Italia non sa ridere di se stessa, ci fa troppo male.
Se mi chiamasse Amadeus, ci andrei ma a una condizione, gli direi: “Vengo ma Tiziano lo lasci a casa!”. Questa versione di Tiziano Ferro felice con l’anello al ditto e il maglioncino natalizio la trovo insopportabile.
Tiziano Ferro, Adele e Sufjan Stevens sono le tre mascotte del dolore musicale: non possono essere felici, tantomeno sposarsi. Quindi Tiziano Ferro tornasse a stare depresso perché di Jovanotti ne abbiamo già uno. Grazie.

Tu sei da sempre il ‘comico gay’. Credi che questo appellativo possa essere un limite, a lungo andare, o sempre e comunque un punto di forza, di svolta, di orgogliosa ‘diversità’ da tutti gli altri.

Me lo sono chiesto: “Non è che sto facendo il gay di professione?”. Poi l’anno scorso Fabio Canino mi chiamò ai Diversity Media Awards dicendomi: “quest’anno mi piacerebbe tu parlassi di disabilità”. Scrissi un monologo incentrato sulla figura dell’assistente sessuale. Andò bene. Capii io per primo di poter parlare anche di altro. Starà a me farlo.

Siamo nel 2020, eppure c’è chi continua a sminuire la dirompente forza del coming out. Che idea ti sei fatto a riguardo, guardando soprattutto all’ipocrita mondo dello spettacolo, in cui si accavallano interviste surreali, falsi gossip e costruiti servizi fotografici.

Quelli che dicono che il coming out non serve è perché vivono in una bolla tutta loro. Spesso vivere in ambienti privilegiati / circoscritti non aiuta ad avere coscienza della realtà e si inizia a dire cose senza senso tipo: “il coming out non serve” “non sono gay, sono un uomo” ecc… purtroppo questa è una malattia, si chiama: “Dolce e Gabbana”. Colgo l’occasione per fare gli auguri di pronta guarigione a Mahmood.
Dobbiamo smetterla di dire che “gay” è un’etichetta! Io non ho mai sentito dire da un eterosessuale: “non darmi dell’etero sono un uomo”. Gay è una parola che descrive e dà un’informazione molto chiara, poi se c’è gente che vuole inventarsi un vocabolario tutto suo faccia pure.

I tuoi genitori, da questo punto di vista, come hanno preso questa tua strada comica, che ha sempre contemplato la dichiarata omosessualità.

Qui tocca distinguere.
Mia mamma molto bene, anzi quando la cito nei testi lei inizia a ridere anche se non ho ancora detto la battuta. Basta che dico: “Un giorno mia mamma…” e lei ride.
Mio papà invece ha fatto più fatica, non riesce ancora a dire la parola “gay” e mi chiede: “ma stasera in tv parli ancora di quella roba lì?” E io rispondo sempre: “Sì papa, parlo di froci!”.

Spesso nei tuoi sketch fai dell’ironia sui tanto chiacchierati e famigerati ‘incontri da app’, che il più delle volte nascono e finiscono o a letto o al termine di un rapido caffè. Sei mai stato con un ragazzo che si è sentito intimorito da questa possibile opzione, ovvero diventare fonte primaria di satira.

Sì. Quando conosco qualcuno spesso se ne esce con: “Ma non è che poi questa la dici in tv?” In verità è un finto timore, un po’ ci sperano. Purtroppo il mondo più che di omosessuali è pieno di egosessuali, coloro che provano attrazione nei confronti degli specchi. Quelli che all’idea di essere citati, anche solo per parlarne male, gli si gonfia il petto. Io apposta cambio sempre i nomi e mischio le situazioni. 


Conclusa la prima stagione di Battute, che in poco tempo è diventato un piccolo programma cult, cosa dobbiamo aspettarci dal 2020 di Daniele?

Ti rispondo con la classica frase di chi non sta facendo nulla: “Sto lavorando a dei progetti”.
La verità è che ci sono più cose che sto cercando di capire se si concretizzeranno, purtroppo non dipende da me, ma come sempre da Paolo Fox. 

 

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