Jodie è finalmente out. Come se non si sapesse da anni, come se ci fosse bisogno di farlo, come se non fosse nota la sua relazione quindicennale con la potente Cydney Bernard, 44 anni, conosciuta sul set di ‘Sommersby’ dove quest’ultima era coordinatrice di produzione. Già i compagni di Yale – tra cui il regista gay Ira Sachs, vincitore del Sundance con ‘Forty Shades of Blue’ – sapevano dei gusti saffici di Jodie, e raccontano di incontri piccanti nei bagni (si vocifera che stesse con Kelly McGillis di ‘Top Gun’). In realtà è una mossa congegnata ad hoc: giovedì scorso, ritirando un premio per ‘The Hollywood Reporter’ al Beverly Hills Hotel di Los Angeles, in occasione di un incontro delle 100 donne più potenti dell’industria dell’intrattenimento, ha ringraziato “La mia bella Cydney che mi ha sopportata attraverso tutto il marcio e il sublime”.
Ovviamente la rivelazione cade a fagiolo: ieri Jodie Foster ha avuto la nomination ai 65esimi Golden Globe per la sua interpretazione dell’antieroina vendicativa nel metropolitano ‘The Brave One’ (letteralmente ‘La coraggiosa’) del regista irlandese Neil Jordan e possiamo scommettere che il 13 gennaio si presenterà con compagna e magari i due figlioletti adottivi Charles Bernard e Kit Bernard, ringalluzzita dalla speranza fondata di vincere (l’unica vera antagonista è l’aristocratica Cate Blanchett di ‘Elizabeth – The Golden Age’) per risollevare una carriera un po’ in risacca: la produzione del suo film-sogno ‘Flora Plum’ è stata rimandata e col nuovo lavoro ‘Nim’s Island’ di Jennifer Flackett e Mark Levin si gioca la credibilità. Si tratta di un fantasy claustrofobico interpretato insieme al massiccio Gerard Butler di ‘300’: personaggio isolato in una grande città e miraggio di un’isola deserta con papà scienziato e amico scrittore pazzerello.
Sorprendono le altre nominations ai Golden Globes: ben sette al film in costume che ha aperto Venezia, ‘Espiazione’ di Joe Wright e tre al solido e virtuoso thriller di Cronenberg ‘Eastern
Promises’ (‘La promessa dell’assassino’), ossia miglior dramma, miglior attore, Viggo Mortensen (già gay-cult la scena di combattimento in sauna) e migliore colonna sonora originale. Tra le commedie/musical spicca ‘Hairspray’ di Adam Shankman mentre possibile miglior attore si candida il bravo Ryan Gosling della commedia più originale dell’anno, ‘Lars and the real girl’ di Craig Gillespie, una geniale apologia dell’avatar che può essere interpretato come un film criptogay visto che Lars non va mai a letto con una ragazza ‘vera’ e fuori dalla chiesa viene proprio creduto omosessuale.
Due giorni fa, a Torino, durante un incontro al festival Sottodiciotto,
ha fatto invece coming out il grande regista francese André Téchiné, magistrale cantore dell’adolescenza omosessuale e non, sensibile narratore della scoperta dell’amore gay in contesti spesso naturali e d’altri tempi (il magnifico ‘Les Roseaux Sauvages’ con l’angelico Gaël Morel ora regista – l’ultimo, ‘Après lui’, è con la Deneuve – il dolente ‘J’embrasse pas’, l’ultimo splendido ‘I testimoni’). Nel corso della sua carriera ha diretto anche lui, nel nostalgico ‘I tempi che cambiano’, la leggendaria Catherine Deneuve, sua grande amica («mi ha insegnato a donare uno spazio di libertà agli attori, a lasciarmi andare all’intuizione e non controllare tutto: esperienze magiche»).
«Non nego assolutamente l’omosessualità» spiega Téchiné. «Ma il problema è l’identità: posso identificarmi in un regista gay come in una donna, un paesaggio o un animale. L’identità è molteplice e si può rappresentare in vari modi ma diffido da chi vuole limitarla e considerarla una sorta di poster ideologico o sociologico. Ho
ricevuto recentemente un premio al festival gaylesbico di Praga: mi ha fatto molto piacere, è stato un onore». Riguardo al suo ultimo film ‘I Testimoni’ «C’è sicuramente una fetta di esperienza personale sugli anni ’80 e sul flagello dell’Aids, ci sono elementi autobiografici, ho anche un forte rapporto di complicità col mio operatore Julien Hirsch. Ma non ho voluto fare un film malinconico e funebre, sono partito dalla gioia di vivere del mio protagonista adolescente. Truffaut disse: “Faccio parte di quella categoria di registi per cui il cinema è un mezzo per prolungare la propria l’adolescenza”. Questa cosa mi tocca molto, appartengo a questa categoria, come Gus Van Sant».
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