Gli avvicinamenti di Mahmood alla comunità LGBTQ+

Come una ferita mai sanata. Nella comunità, ma anche nel cuore di quello che forse è il più grande artista musicale italiano di nuova generazione. Perché? Facciamo il punto.

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Mahmood è senza dubbio tra gli artisti che meglio rappresentano la nuova scena del pop italiano. Contaminazioni tra stili e ritmi musicali local e global, ancorati alle proprie radici culturali, ma con l’occhio sempre rivolto al vibe internazionale. Un artista a tutto tondo, che si è distinto negli ultimi due anni per importanti traguardi professionali – dalla vittoria a Sanremo al successo internazionale ottenuto con la partecipazione all’Eurovision Song Contest -, ma anche per qualche scivolone dal punto di vista comunicativo.

Nell’era della pervasività dei social network, quanto mai prima i personaggi pubblici sono chiamati ad esporsi pubblicamente su temi di rilevanza, a maggior ragione se il pubblico avverte che l’attore, la modella o il cantante di turno possano fare la voce grossa nel dibattito, ora più politico, ora più sociale. È proprio il caso di Mahmood per parte della comunità LGBTQ+, che ha sin da subito avvertito l’artista milanese come portavoce inclusivo delle proprie istanze. Dopo la vittoria con Soldi al Festival della Canzone Italiana, tuttavia, le aspettative riposte nel cantautore da alcuni ascoltatori hanno iniziato a vacillare. “Dichiarare sono gay non porta da nessuna parte, se non a far parlare di sé. Andare in tv da Barbara D’Urso per raccontare la propria omosessualità mi sembra imbarazzante: così si torna indietro di 50 anni”, dichiarò nel 2109 a Vanity Fair, a tre anni dall’intervista rilasciata proprio a Gay.it, in cui aveva parlato degli artisti che hanno avuto il coraggio di fare coming out:

Apprezzo molto gli artisti che hanno avuto il coraggio di dichiararsi in pubblico, ma non giudico minimamente chi ancora non ha avuto la forza. Penso che ognuno debba dichiararsi quando meglio crede. Quando pensa che sia il momento più opportuno. Come tutti.

Il giudizio sul coming out per Vanity Fair, all’inizio concepito in relazione alla pubblicazione della notizia sui media di massa, è passato nella vulgata come la posizione di chi non crede pienamente nel valore della rivelazione della propria sessualità. Un malinteso in termini, insomma. C’è da dire che ad alimentare il qui pro quo è stato poi lo stesso Mahmood, che nel corso dei mesi non si è mai particolarmente speso per fare in modo che quelle dichiarazioni tornassero ad avere il senso dato loro alle origini, stringendo inoltre alcune collaborazioni piuttosto controverse. Un artista parla con la musica, i testi e i vocalizzi, ma quando decide di mettere giù il microfono e di sporcarsi le mani, ha il compito di giustificare le scelte che compie. Il riferimento è alla capsule collection realizzata nel 2020 insieme a Yoox contro il bullismo e a sostegno delle attività del Moige, il Movimento Italiano dei Genitori (qui alcune delle loro malefatte, sotto l’egida della famiglia tradizionale). Pochi mesi prima rappresentati da nientepopodimeno che Guillermo Mariotto.

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Mahmood fotografato da LuigiandIango

Con il nuovo album in uscita (Ghettolimpo, pubblicato l’11 giugno scorso), Mahmood sembra però aver mutato il proprio modo di comunicare con gli altri. Meno ritrosia, più prese di posizione miratissime, forse complice un’aria di interventismo vip più accesa nella lotta alla conquista di maggiori diritti. Nel pieno dibattito social sul DDL Zan, Mahmood ha pubblicato ad aprile su Instagram che “è di fondamentale importanza approvare la legge”, proseguendo poi:

Ho sempre pensato che episodi di discriminazione basati sul sesso, sull’identità di genere e sull’orientamento sessuale debbano essere condannati. Mi è capitato più volte di assistere impotente a scene di questo tipo, soprattutto durante la mia adolescenza. A volte, forse per paura o debolezza, mi sono trovato inerme davanti a situazioni che per me erano e sono una violenza. Violenza che uccide la libertà di ciascuno di essere sé stesso. Ora ho 28 anni e sento di avere, come tutti, la responsabilità di sostenere questo disegno di legge.

Pochi giorni dopo, il cantautore si è aperto con ancora maggiore sincerità in un’intervista a Repubblica. Mahmood discute ora di bullismo, di quello vissuto sulla propria pelle per le sue origini arabe, per la sua pelle scura, per le inclinazioni romantiche e sessuali affibbiategli dagli altri. “Ora invece mi sento potente: grazie al mio mestiere ho la possibilità di essere ascoltato anche quando parlo e non solo quando canto. Ora sì che reagirei. E reagirò, contro chi vuole limitare la libertà sessuale e in definitiva l’identità di chiunque di noi. Sono pronto a battermi con tutti i miei mezzi perché la legge Zan sia approvata”. Ancora silenzio stampa per quanto riguarda il proprio orientamento, un silenzio che a Gay.it consideriamo senz’altro legittimo, pur nell’errore perseverante della svalutazione del gesto del coming out (questa volta c’entra poco Barbara d’Urso):

Non ho mai detto di essere gay. La mia è una generazione che non rileva differenze se hai la pelle di un certo colore o se ami qualcuno di un sesso o un altro. Io sono fidanzato, ma troverei poco educata la domanda se ho una fidanzata o un fidanzato. Specificare significa già creare una distinzione.

In un’altra intervista, che qui su Gay.it avevamo già rilanciato, Alessandro si era spinto a sottolineare l’importanza del prendere una posizione quando si parla di certi argomenti.

È importante metterci la faccia quando ci sono battaglie che senti tue, non per moda, non per lasciare un messaggio e basta. Se senti che qualcosa è ingiusto, è importante metterci la faccia. I problemi non si risolvono con una ‘storia’ IG“.

Nella stessa intervista aveva ricordato di come nel 2017 si era esibito sul palco del Milano Pride, non senza spendersi a supporto dell’idea stessa di Pride:

Mi sono esibito al Pride di Milano 4 anni fa, ed è stato molto bello. Il Pride è un modo per ritrovarsi, per unirsi, mi rende molto felice. Non mi mette pressione l’idea che possa essere considerato un’icona LGTBI

Mahmood

E però. Maggiore partecipazione sì, ma Mahmood ha anche dichiarato a giugno scorso di non voler più dire nulla sull’argomento specifico del “coming out”, optando per uno scambio di opinioni sul tema con il pubblico solo attraverso le sue canzoni, centellinando commenti e dichiarazioni. Da rilasciare quindi con parsimonia, solo quando necessario, come nel momento di promozione di un disco o accodandosi alle correnti dei social. A dieci giorni dall’uscita dell’ultimo album, intervistato dal giornale online Open, Mahmood ha dichiarato a proposito dell’approvazione della legge contro l’omotransfobia, l’abilismo e la misoginia (DDL Zan):

Si parla di diritti, tutela e di amore verso il prossimo. Se viviamo in una società in cui determinate cose non sono scontate, ma bisogna creare delle leggi a tutela di determinate casistiche, io credo che il nostro Paese debba aiutarci in questo senso. Il problema è che ho visto che negli ultimi progressi che ci sono stati stiamo tornando indietro. Ho visto video sui social dal Senato, di come loro cercavano di dibattere sul perché non fosse giusto il DDL Zan. Io posso provare a dare un sostegno, per quanto piccolo, però dopo un po’ ti cadono le braccia. Come è possibile che ancora debba sentire determinate affermazioni che sembrano del 1800? Ultimamente sono un pelo scoraggiato.

That’s enough activism for today“, il meme che riecheggia di fronte al contagocce con cui certi messaggi vengono diffusi. Ma d’altronde, come c’è chi pretende maggiore coinvolgimento degli artisti negli affari di attualità, c’è anche chi apprezza chi lascia parlare la propria arte per manifestare critica e disappunto. Certo è che per accontentare entrambe la parti, si rischia di scontentare l’uno e l’altro.

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