Marina Rei ha l’aria di chi si trova esattamente dove vuole essere. Quando la incontro siamo nella sua città, a Roma, a pochi passi dal centro. Dal vivo è bella, ancor più bella di come la ricordavo. Alta, magra, capelli mossi e un trucco che a malapena si fa notare. A guardarla bene, non sembra una di quelle donne attente solamente ai filtri da utilizzare sulle prossime foto e, a guardarla ancor meglio, non sembra neanche una di quelle artiste che vivono le classifiche con troppa maniacalità. Marina, oggi più che mai, è una donna libera. Libera da strategie commerciali e libera di scegliere di fare solo, ed esclusivamente, quello che le piace. L’occasione del nostro incontro è il lancio del suo nuovo singolo, Portami a ballare, uscito il 27 maggio su tutti i digital store e candidato ad essere il tormentone “indipendente” di questa estate strana. Tra un caffè e un bicchiere d’acqua a temperatura ambiente, Marina si lascia andare e parla, a cuore aperto, del suo più grande amore: la musica.
Portami a ballare sembra essere una canzone leggera, invece nasconde un messaggio molto importante. Cosa l’ha spinta a raccontare una storia così forte?
Mi ha ispirato la storia di un caro amico che, dal giorno alla notte, si è trovato ad affrontare un enorme cambiamento di vita, a causa di una brutta malattia che non gli ha più permesso di avere la stessa libertà di movimento e, nonostante tutto, non si è mai arreso. Mi ha colpito molto il coraggio che ha avuto nel non accettare una sofferenza, solo perché la vita gliela metteva davanti. Sono una persona che non si arrende, e la sua storia mi ha dato una grande forza.
Musicalmente, un ritorno alla musica più pop o sbaglio?
Non amo né gli stereotipi, né le definizioni. Non è un ritorno a niente, così come non è un principio di niente. Sono io e la mia scrittura di sempre. Perché soffermarsi su vestiti e abbellimenti quando quello che conta, per me, è solo il contenuto e ciò che trasmette?
Canta: “E’ presto per andare, ho ancora voglia di ricominciare!“ Quante volte ha ricominciato nella sua vita?
Si ricomincia sempre, mettendosi in gioco continuamente. Fermarsi è sbagliato. Mettersi in gioco denota carattere e il fatto di aver scelto, da anni, di essere indipendente, credo lo dimostri.
E’ rientrata da poco da un tour europeo. Che esperienza è stata?
E’ stato come ritornare ragazzi. Un’avventura musicale che desideravo da tanto tempo e che mi ha lasciato sensazioni fortissime che ricorderò per sempre. Spero di riuscire, in un futuro imminente, a tornare in giro per l’Europa, anche se le confesso che non dimenticherò neanche la parte del tour italiano.
Pochi giorni dopo il suo live a Bruxelles, il terribile attentato. Come ha vissuto quel momento?
Durante i giorni che hanno preceduto l’attentato, abbiamo viaggiato attraverso continui controlli: dagli aeroporti alle stazioni. E mi creda: è stato scioccante aver saputo dell’accaduto, a tre giorni di distanza dalla nostra partenza. Tra l’altro, a Bruxelles, abbiamo suonato esattamente in una delle aree colpite. Ricordo di aver scritto, quella stessa mattina, all’organizzatore del concerto per sapere come stava.
Si è mai chiesta come mai piace così tanto al mondo gay?
No, non me lo sono mai chiesta. Ho sempre vissuto questa passione come un grande privilegio.
Pochi giorni fa, a Roma, il Gay Pride. Pensa che sia ancora utile marciare sulle note di I will survive?
Credo sia sempre necessario marciare come segno di dimostrazione. Manifestare è un diritto di tutti e per tutti.
Ogni personaggio nasconde sempre diverse leggende. Lei ne conosce qualcuna sul suo conto?
(ride, ndr) Oddio, immagino ce ne siano tante, ma la verità, alla fine, la posso conoscere solo io e nessun altro.
Tante suo colleghe si sono prestate alla Tv. A lei non piacerebbe diventare giudice, piuttosto che coach, di un talent show?
In verità non so se ne sarei in grado. Penso che la televisione ti vincoli. Probabilmente per tempistiche e modalità contrattuali. Essere se stessi significa non scendere a compromessi e credo che, in ognuno dei contenitori indicati, ci si sentirebbe con le mani legate. Se così non fosse, allora potrebbe essere interessante riuscire a portare un po’ del proprio bagaglio musicale e della propria esperienza.
Molti artisti rinnegano il loro passato musicale. Lei, quando riascolta successi di qualche anno fa, come la sua Primavera, cosa pensa?
Senza offesa, ma penso che siano i giornalisti stessi a fare in modo che molti artisti rispondano di rinnegare il proprio passato musicale. Che non poi non si tratterebbe neanche di rinnegare ciò che si è fatto, ma di guardare indietro e capire dove si può far meglio oggi, sorridendo al passato.
Oggi i dischi non si vendono più. In che modo pensa che potrebbe riprendersi l’industria discografica?
Non credo che l’industria discografica tornerà ad essere più come quella di una volta. Credo piuttosto che da qui, ai prossimi anni, arriverà un nuovo Mark Zuckerberg a rimescolare le carte e a creare nuove forme di piattaforma discografica.
Le capita mai di fermarsi a pensare a dove è arrivata?
No, mi capita piuttosto di guardarmi indietro e di vedere quanta strada ho fatto. Non mi sento, e non mi sono mai sentita, arrivata. Ho sempre voglia di fare e di fare ancor meglio. Innanzi tutto per me stessa.
Sono passati un po’ di anni dal suo debutto. Come vive il passare del tempo?
Semplicemente vado avanti. Possibilmente suonando più che posso.
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