Sylvia Rivera e’ morta ieri, 19 febbraio, alle 5.30 del mattino, al St.Vincent’s Manhattan Hospital di New York, in seguito ad un cancro al fegato. Aveva 50 anni. La notizia e’ stata diffusa dal reverendo Pat Bumgardner della Metropolitan Community Church, una delle chiese gay piu’ importanti degli Stati Uniti, ed e’ stata pubblicata dal "New York Times" di oggi (che lo scrittore David Thorstad ha provveduto ad inviarci subito, insieme ad altre informazioni).
Aveva cominciato la sua avventura come prostituto, battendo il marciapiede fin dall’eta’ di 10 o 11 anni. All’epoca si chiamava Ray, ed era un grazioso maschietto. Presto prese coscienza della sua identita’ e della sua realta’, offrendo aiuto e assistenza alle giovani marchette che, aveva visto, morivano presto per una coltellata, od una overdose o finivano intrappolate in una vita senza senso e senza scopo, come racconto’ a Martin Duberman ("Stonewall", Dutton, 1993).
Piu’ tardi apri’ un rifugio che ribattezzo’ "STAR House" (STAR = Street Transvestite Action Revolutionnaires). Ben presto rimase delusa dalla politica perbenista della maggioranza del movimento gay che, addirittura, all’inizio degli anni ’70 vide la "Gay Activists Alliance" togliere i travestiti dall’elenco delle proprie priorita’. Tutto questo la spinse alla droga ed al vagabondaggio finche’ fini’ a vivere in un magazzino abbandonato del porto di New York. Io l’ho conosciuta proprio in quel periodo, nel giugno e luglio 1989, quando mi trovai di nuovo in citta’ per partecipare ai festeggiamenti per il 20. anniversario dello Stonewall. Ad una riunione dei vari leader sopravvissuti presso il "Gay and Lesbian Communitity Services Center", Ray "Sylvia" Rivera (come mi scrisse su un biglietto) prese la parola aggredendoli per la loro scarsa memoria.
«La scintilla della rivoluzione», cito a memoria, «l’abbiamo iniziata noi checche, travestiti e puttane. Dov’e’ stavate voi, ch’eravate nascosti allora, e venite a raccogliere gli allori adesso, di una rivolta della quale non avete alcun merito?». Ma nel 1994, il movimento gay, ormai diventato Gay – Lesbico – Bisessuale e Transgender, ne ricordo’ i meriti e la volle al posto d’onore durante la marcia per il 25. anniversario dello Stonewall. Gli italiani hanno avuto la fortuna di vederla in occasione del World Gay Pride del 2000, a Roma. Negli ultimi tempi era tornata alla militanza, ed aveva aperto un altro rifugio per transgender, la "Transy House", a Brooklyn. Lascia a piangerla un’amica carissima, Julia Murray, e tutti noi che ne abbiamo conosciuto la straordinaria forza del carattere, di combattente coraggiosa, e la generosita’ di un cuore che batteva per tutti e che tanto ha fatto per tutti noi, anche per coloro che non l’hanno mai conosciuta e neppure hanno mai saputo della sua esistenza.
Massimo Consoli
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