Nella contestata poesia ‘Il PCI ai giovani!!!’ che Pasolini scrisse dopo gli scontri a Valle Giulia nel ’68 tra studenti e polizia si legge: «È triste. La polemica contro il PCI andava fatta nella prima metà del decennio passato. Siete in ritardo, figli. E non ha nessuna importanza se allora non eravate ancora nati… Adesso i giornalisti di tutto il mondo (compresi quelli delle televisioni) vi leccano (come credo ancora si dica nel linguaggio delle Università) il culo. Io no, amici. Avete facce di figli di papà. Buona razza non mente. Avete lo stesso occhio cattivo. Siete paurosi, incerti, disperati (benissimo) ma sapete anche come essere prepotenti, ricattatori e sicuri, prerogative piccoloborghesi, amici. Quando ieri a Valle Giulia avete fatto a botte coi poliziotti, io simpatizzavo coi poliziotti! Perché i poliziotti sono figli di poveri».
Viene in mente questo duro, feroce e radicale atto d’accusa vedendo un documentario altrettanto forte e rabbioso, il valido ‘La voce di Pasolini‘ scritto e realizzato a quattro mani dal critico cinematografico Mario Sesti e dal documentarista/attore/aiutoregista ventiquattrenne Matteo Cerami, che uscirà prossimamente in DVD (comprensivo di un documentario su ‘Salò’ e foto inedite) ed è stato presentato a Torino in occasione della commemorazione della scomparsa di Ottavio Mai nel cinema Greenwich ex Faro dove si tenne la prima edizione del Festival Gay.
Un documentario interessante e originale prodotto da BIM e Indigo Film, in cui Pasolini non si vede quasi mai (resta impressa un’intervista che gli fece Ninetto Davoli in cui PPP ricorda che lui stesso è un ‘figlio di papà’ che dovette venire a Roma per conoscere quel sottoproletariato poi tanto amato) ma i cui testi ripercorrono la storia d’Italia grazie alla voce fuori campo di un ispirato Toni Servillo – uno dei migliori attori italiani – che appare in volto solo nell’ultima inquadratura. Ai saggi e alle poesie del poeta vengono accostati curiosi filmini amatoriali dell’Italia dagli anni ’30 ad oggi, immagini di repertorio dell’Archivio Audiovisivo del Movimento Operaio e del Fondo Corona della Cineteca di Bologna (la parte più sulfurea e appassionata è proprio la critica al rampantismo neoborghese che snaturò la vera natura italica). Il montaggio dei testi è stato realizzato anche grazie alla consulenza di Graziella Chiarcossi, erede del suo patrimonio letterario.
È possibile inoltre ascoltare la registrazione con la vera voce di Pasolini, conservata per tutti questi anni da alcuni suoi collaboratori dell’epoca e ritrovata dagli autori, mentre detta il soggetto del film che avrebbe dovuto girare dopo ‘Salò’ e a cui stava già lavorando al momento della morte, ‘Porno Theo Kolossal‘.
Questo progetto che non vide mai la luce viene raccontato visivamente dalle immagini d’animazione della regista Annalisa Corsi, autrice di colorate sequenze che ricordano i morbidi disegni pastello del grande Lorenzo Mattotti. Rivediamo così Eduardo De Filippo e Ninetto Davoli seguire una stella cometa in un immaginario viaggio da Napoli a Parigi attraverso Roma e Milano: la capitale diventa Sodoma, città dove la norma sociale vuole che l’unica sessualità accettata sia quella gay e dove due fidanzatini etero vengono messi alla gogna perché hanno osato esibire in pubblico il loro amore. Milano è invece Gomorra, dove, al contrario, vengono condannati due maschi gay poiché viene accettata socialmente solo l’eterosessualità. Il viaggio si conclude a Numanzia, ovvero Parigi, dove i protagonisti assistono nella periferia della città a violenti scontri tra poliziotti e residenti (ennesima profezia pasoliniana?).
«Si leggono tante cose su Pasolini, molte più di quante se ne leggano tra quelle che lui ha scritto – sostiene Mario Sesti – Noi volevamo invece mettere al centro di tutto lo spettacolo della sua lingua, ricca, coltissima, emozionante e strabordante di idee». Sorprende infine una scena decontestualizzata e inserita provocatoriamente tra le immagini d’epoca: la soggettiva di una mitragliatrice aerea che bombarda in sequenza una serie di capanni durante la guerra in Irak. «È senz’altro un’immagine forte, forse troppo forte – spiega Sesti – Abbiamo riflettuto a lungo sull’opportunità o meno di inserirla. Quello che volevamo comunicare è che, nonostante il trascorrere del tempo, lo sguardo di chi detiene il potere è sempre lo stesso».
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