Grazie all’Unione Europea i Pride in Polonia sono andati bene

Le minacce dell'UE hanno sortito il loro effetto.

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Due parate del Pride in Polonia si sono svolte pacificamente dopo anni di violenze. Secondo gli attivisti, si tratta di una conseguenza del lavoro svolto negli anni per sensibilizzare almeno la popolazione all’importanza del rispetto e della tolleranza verso le minoranze.

Il Pride nella città polacca di Katowice si è tenuto per il sesto anno sabato (3 settembre) e ha visto la partecipazione di circa 4.000 persone. 

La marcia, tenuta in solidarietà con la città ucraina di Odessa, ha affrontato a testa alta l’eventualità di scontri e proteste da parte del gruppo anti-LGBTQ+ e anti-aborto Fundacja Pro. Il sindaco di Katowice ha inizialmente vietato al gruppo di partecipare alla parata per proteggere “la sicurezza e l’ordine pubblico”.

Nonostante il decreto del sindaco sia stato poi abrogato da un tribunale, solo pochi membri di Fundacja Pro si sono presentati all’evento, con pochissime conseguenze sull’andamento della parata se non i classici slogan che associano la comunità LGBTQIA+ alla pedofilia.

Lo ha riferito l’organizzatore del Katowice Pride, Przemysław Valas. “In Polonia, il Pride assume un significato particolare. È una delle poche opportunità per gli appartenenti alla comunità LGBTQIA+ di sentirsi al sicuro e a proprio agio, nonché l’occasione di ricordare alla Polonia che noi siamo qui, che non ce ne andremo facilmente solo perché qualcuno non riesce ad accettare che il mondo non sia solo bianco e nero”.

Simile la situazione anche durante il Pride nella città di Lublino: la parata si è svolta senza atti di violenza né minacce da parte dell’estrema destra, nonostante l’evento sia stato preso di mira più volte negli ultimi anni.

Recentissimi infatti gli episodi di violenza e ostruzionismo da parte di alcuni contro-manifestanti, che solo nel 2019 sono stati arrestati dopo aver lanciato torce accese ai partecipanti, nonché uova e bottiglie.

Nel 2019, il gruppo Steam è stato sciolto dopo un raid delle autorità che avrebbe portato alla luce l’intenzione d’impiegare esplosivi e armi improprie per fermare il Pride.

Questo sabato, tuttavia, l’antifona è stata diametralmente diversa: al Pride hanno partecipato circa 1.000 persone e – nonostante la forte presenza della polizia, che in Polonia si occupa di sorvegliare i manifestanti, e non di difenderli – le violenze sono state evitate.

Un partecipante ha affermato che la crescente ostilità anti-LGBTQ+ da parte del governo polacco, di fatto, ha funzionato al contrario.

Attirando l’attenzione sulla comunità queer, la classe politica, secondo alcuni attivisti, ha ottenuto l’effetto opposto.

I polacchi stanno finalmente capendo che il mito del mostro gay cattivo che diffonde la pedofilia e le malattie non è qualcosa di reale. Assistendo al Pride, il cittadino comune ha riconosciuto nei manifestanti il panettiere, il vicino di casa, o il collega con cui scambia due chiacchiere durante la pausa caffè. I cambiamenti sono sostanziali rispetto agli anni precedenti, e dopo un periodo di oscurantismo, vediamo finalmente la luce in fondo al tunnel

Effettivamente, il lavoro degli attivisti ha giocato un ruolo fondamentale nel combattere le politiche discriminatorie promosse dallo stesso governo polacco. Le diverse proteste e lettere aperte alla Commissione Europea hanno fatto sì che la situazione della comunità LGBTQIA+ venisse alla luce dopo anni di vessazioni.

I primi passi avanti si sono visti quest’anno, quando l’UE ha incalzato il governo polacco nel rimuovere le cosiddette zone “LGBTQIA+ free”.

Naturalmente, la rimozione di questo decreto non è arrivata per un cambio di coscienze: la Commissione Europea ha minacciato la Polonia con un sostanzioso taglio di fondi – di parla di milioni di euro – in risposta alla evidente presa di posizione contro la minoranza LGBTQIA+.

Il presidente dell’assemblea della Malopolskie, Witold Kozłowski, ha affermato in una nota che se la Polonia è “costruita su valori e basata sulla tradizione secolare del cristianesimo”, lui e i suoi colleghi consiglieri non avevano alcun desiderio “di assumersi la responsabilità di rinunciare ai fondi europei”.

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