Doccia gelata per Polonia e Ungheria, i cui ricorsi sulle condizioni poste dal cosiddetto “Stato di Diritto” sono stati respinti dalla Corte di Giustizia europea. Questo vuol dire che se un Paese UE non rispetta le regole democratiche previste dai Trattati dell’Unione può andare incontro ad un blocco di tutti i finanziamenti. L’Europa non è un bancomat. Nel caso in cui questi comportamenti dovessero persistere, il Paese in questione può essere anche espulso dall’Unione.
Dopo le minacce dei mesi scorsi dettate dalle rispettive leggi omotransfobiche, Ungheria e Polonia potrebbero ora non ricevere un euro dal Recovery Fund, così come altri aiuti europei. Orban e Duda erano andati contro il meccanismo di condizionalità che subordina il beneficio di finanziamenti provenienti dal bilancio dell’Unione al rispetto da parte degli Stati membri dei principi dello Stato di diritto. Ma tale meccanismo, ha precisato la Corte, è stato adottato sul fondamento di una base giuridica adeguata, essendo compatibile con la procedura prevista all’articolo 7 TUE e rispettando i limiti delle competenze attribuite all’Unione e il principio della certezza del diritto.
La Corte ha ricordato che il rispetto da parte degli Stati membri dei valori comuni sui quali l’Unione si fonda, che sono stati identificati e condivisi dai medesimi, e che definiscono l’identità stessa dell’Unione quale ordinamento giuridico comune a tali Stati, tra i quali lo Stato di diritto e la solidarietà, giustifica la fiducia reciproca tra tali Stati. Poiché tale rispetto costituisce quindi una condizione per il godimento di tutti i diritti derivanti dall’applicazione dei Trattati a uno Stato membro, l’Unione deve essere in grado, nei limiti delle sue attribuzioni, di difendere tali valori. La sana gestione finanziaria del bilancio dell’Unione e gli interessi finanziari dell’Unione, ribadisce la Corte, possono essere gravemente compromessi da violazioni dei principi dello Stato di diritto commesse in uno Stato membro. Pertanto, un «meccanismo di condizionalità» orizzontale, come quello istituito dal regolamento, che subordina il beneficio di finanziamenti provenienti dal bilancio dell’Unione al rispetto da parte di uno Stato membro dei principi dello Stato di diritto, può rientrare nella competenza, conferita dai Trattati all’Unione, di stabilire «regole finanziarie» relative all’esecuzione del bilancio dell’Unione.
Ursula Von Der Leyen, Presidente della Commissione europea dal 1º dicembre 2019, ha già annunciato che verranno presto emanante nuove linee guida per rendere ancor più inattaccabile simile principio. “Accolgo con favore la sentenza della Corte di giustizia europea che conferma la legittimità del regolamento sulla condizionalità”, ha sottolineato Von Der Leyen. “La Commissione difenderà il bilancio dell’Unione dalle violazioni dei principi dello Stato di diritto. Agiremo con determinazione”.
Dure e puntuali le reazioni di Ungheria e Polonia. “Oggi abbiamo bisogno di unità contro l’attacco alla nostra sovranità, la Polonia deve difendere la sua democrazia dal ricatto, che è toglierci il diritto all’autodeterminazione”, ha commentato il vice ministro Sebastian Kaleta.
“La Corte di giustizia europea ha emesso un giudizio motivato politicamente a causa della legge sulla protezione dell’infanzia. La decisione è la prova vivente che Bruxelles sta abusando del suo potere. Questo è un altro strumento di pressione contro il nostro Paese solo perché l’estate scorsa abbiamo adottato la nostra legge sulla protezione dei bambini“, ha commentato la ministra della giustizia ungherese, Judit Varga.
In Polonia è stata da poco approvata la legge anti-LGBTQ+ per le scuole, mentre in Ungheria il presidente Orbán ha imposto il referendum omotransfobico sulla propria contestata legge contro la propaganda LGBT lo stesso giorno delle elezioni parlamentari.
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