Come vi abbiamo già detto questa mattina, l’Onda Pride non è ancora terminata: altre cinque città scenderanno in piazza dal 4 luglio fino all’1 agosto (Catania, Genova, Foggia, Napoli e Reggio Calabria). Continuiamo, allora il nostro viaggio tra i testimonial di quest’onda, tra chi ha scelto di metterci la faccia e di raccontarsi, per urlare con orgoglio che “è una questione di diritti umani”
Giulio, 49 anni.
Giornalista freelance, capatosta, preciso, indeciso, sieropositivo, gay. #human
Giulio ama camminare, andare al mare, ascoltare la musica dal vivo, quella barocca, l’elettronica, l’hip hop e il dubstep. Giulio ama la vita. La ama così tanto che vorrebbe averne vissuta di più. “Ho saputo di essere positivo all’HIV nel ‘97. Avevo trentun anni. Lì per lì pensavo di non arrivare mai ai quaranta. Per questo oggi dico già di averne 49, anche se ne ho ancora 48. Perché sono felice di esserci arrivato”. Dopo alcuni momenti di panico, Giulio ha capito che l’unica cosa che poteva fare era vivere intensamente ogni giorno della sua vita. Non ha aspettato, ha cercato subito di reagire. A quel tempo aveva dei valori troppo bassi, per i quali non era richiesto l’inizio di una terapia. Così decise di partecipare a un protocollo sperimentale a Losanna, in Svizzera. Negli anni la sua terapia è cambiata molte volte e ora si è stabilizzata: “Prendo le mie due pillole al giorno e sono tranquillo”. Se pensa ai problemi della sua vita di sieropositivo, non pensa ai problemi sanitari, ma a quelli della discriminazione, anche velata, quell’imbarazzo diffuso nel non saper gestire l’argomento che lo lascia perplesso, e combattivo. C’è ancora molto da fare per informare le persone, e Giulio lo sa bene, tanto da averne fatto uno scopo nella sua vita da attivista.
Giulio ha sempre avuto relazioni sentimentali lunghe e sierodiscordanti (con persone sieronegative). Non può trasmettere il virus sessualmente, perché ha un carica virale non rilevabile da molti anni. Comunque lo dice sempre prima o usa il preservativo. Di chi l’ha rifiutato, sulla base della paura o del pregiudizio, non conserva alcun ricordo negativo. “Peggio per lui”, dice, con una punta d’orgoglio.
In una società che vuole farti andare nella direzione di quello che devi essere, non di quello che sei, Giulio non vuole proprio stare. “Mi sento diverso perché voglio conservare il bambino che c’è in me”. Sulla questione matrimonio, ad esempio, non ha alcun dubbio: lottare è giustissimo per dare a tutte le persone gli stessi diritti, ma a livello personale proprio non gli interessa. Così come non crede nella “famiglia”, se per famiglia s’intende solo quel modello imposto dall’alto con ruoli e scopi definitissimi e spesso subiti e interpretati malamente. Crede invece che nella realtà delle cose ci siano delle forme di familiarità “creativa” che portano con loro una ricchezza culturale che potrebbe davvero cambiare in meglio questo mondo.
Giulio oggi è innamorato. Eppure, se pensa al futuro, forse preferisce l’idea di invecchiare da solo. “Se io vedo per strada un settantenne da solo, e poi vedo una coppietta di settantenni, ecco io provo più invidia per quello da solo, perché è riuscito ad arrivare alla sua età con le sue proprie gambe. Arrivarci in due mi sembra meno eroico. Perché la vita deve essere eroica”. Poi Giulio un po’ ci ripensa, e dice che forse sono solo le sue “fisime” a fargli dire così. La verità è che Giulio è innamorato davvero, soprattutto della vita. “Sono così curioso di vedere come sarò tra 10 anni. Se c’arrivo.” Scherza sulla morte, perché chi ha vissuto un’esperienza come la sua “ha sempre la consapevolezza che ci siamo temporaneamente su questa terra. E se riesci a tenerlo presente, in modo positivo, te la godi davvero la vita.”
Giulio al Pride ci va sempre, a gridare al mondo che le persone con HIV sono in primo luogo persone. Ci va perché lì “si incontrano tanti, bellissimi, stupendi esseri umani, tutti unici. Io non conosco persone che dopo essere state a un Pride abbiano fatto commenti negativi. Conosco solo persone che non essendoci mai state, li hanno fatti. Perché se poi ci vai, ti rendi conto che quello sfilare è un po’ un andare, tutti insieme, verso un mondo diverso. Migliore di questo”.
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