Sono 25 anni che Maria lavora nel campo delle bellezza. In Brasile era una hair stylist e make up artist di successo, conosciuta anche dai personaggi famosi, che si affidavano a lei per la la sua bravura ed esperienza. A Torino, invece, tutto è diverso. A Torino, solo porte in faccia. E solamente perché Maria è una donna transessuale. Dalle pagine di Repubblica, questa è una storia di transfobia.
Ha iniziato la sua transizione 5 anni fa, quando era ancora in Brasile. Continuava la sua carriera, era amata e sostenuta da amici e familiari. Per amore si è trasferita a Torino, dove ha sposato l’uomo che oggi è suo marito. Ma da hair stylist conosciuta e benvoluta, nel nostro Paese ha dovuto sudare per ottenere almeno una prova. Che il più delle volte non porta a nulla. Questo il trattamento riservato quando guardano il curriculum, e quando fanno domande sulla sua vita passata.
Se a Torino il pregiudizio è più forte della competenza
Maria ora è una donna anche legalmente. Quando è arrivata in Italia, i suoi documenti erano già stati aggiornati, e considerava la sua vita precedente come un semplice dettaglio. Certo, non pensava che il suo essere una donna transessuale fosse vista come una cosa negativa.
Non pensavo di dover dare ancora delle spiegazioni. La cosa più triste è che tutto questo è stata una scelta importante per me ma non rappresenta tutto quello che sono e che posso fare. Ora lo considero un piccolo dettaglio della mia vita, non quello che mi definisce in tutto e per tutto. Eppure resta un problema.
Dopo 15 anni a gestire un salone di bellezza tutto suo e altri 10 di esperienza, con il suo trasferimento a Torino un anno fa non pensava che sarebbe stato difficile trovare un lavoro. Il suo curriculum era un’infinità di corsi, di pratica, di nomi che sarebbero bastati per un’assunzione. E invece, Maria procede per prove, tirocini, che alla fine si concludono con un rifiuto.
Ho mandato decine di curriculum. Mi ha richiamato la titolare di un negozio e quando sono arrivata per il colloquio mi ha accolto con una copia del mio curriculum in mano. Mi ha chiesto se ero la stessa persona del curriculum e quando ho risposto di sì, mi ha sbattuto la porta in faccia. C’era mio marito con me, ma sono sicura che se non l’avesse visto con i suoi occhi non mi avrebbe mai creduto.
Niente pietà, ma solo uno sfogo
Maria spiega che ha voluto raccontare la sua storia non per pietà. Non vuole compassione, nemmeno essere assunta per peccato da qualche buona anima.
Continuerò a cercare e lottare. E non ho fatto questo sfogo per suscitare pietà. Non voglio che qualcuno mi assuma come se facessi parte di una categoria protetta, voglio lavorare perché sono brava e merito di farlo e non è giusto che il mio aspetto o le mie scelte condizionino la mia professione.
Vorrebbe semplicemente lavorare, come ha sempre fatto. In Brasile era una donna conosciuta per la sua bravura e il suo stile. Qui è solamente discriminata.
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1)Credo di avere scritto in un precedente commento che le persone transessuali sono tra gli ultimi degli ultimi in Italia o cmq che ci vanno vicino. Mi pare che quel commento sia ancora valido e sospetto che lo sarà ancora per un pò di tempo. 2)Al di là della singola vicenda, quello che mi chiedo è se le persone transessuali si stanno contando, se stanno acquisendo conoscenza di loro stessi come gruppo sociale. Mi spiego meglio. Nel mondo un sacco di cose si possono contare, e contare e classificare le cose e gli enti che popolano il mondo è il primo passo da compiere per conoscere il mondo. Si possono contare quante dita abbiamo in una mano, quante mani abbiamo, quanti sono i residenti in Italia, quanto è lungo il Po, quanti sono i disoccupati in Italia, quanti sono i maggiorenni, quanti sono i condannati per stupro, quanti sono i dipendenti pubblici, quanti i pensionati, quante le partite IVA etc. Dunque contiamo le persone transessuali e classifichiamo questo gruppo nelle sue suddivisioni, conosciamolo questo mondo. 3)Le associazioni lgbt stanno facendo questo lavoro? chi ha a cuore la sorte delle persone transessuali, a parte parlare giustamente, come in questo caso, di discriminazione, se l'è posto il problema di offrire un quadro documentato delle persone transessuali in questo paese? Quanti sono, quanti gli Ftom, quante le MtoF, quanti di cittadinanza italiana, quanti stranieri, quanti stranieri sono arrivati legalmente , quanti illegamente, da quali paesi, che religione professano, se ne professano alcuna, lavorano? quanti lavorano e quanti no? che lavori fanno? che livelli di istruzione hanno? che livelli di reddito hanno? etc etc etc 4)Non si possono sconfiggere il pregiudizio e lo stereotipo se non si conoscono queste persone e conoscere non vuol dire conoscere una o due o 1.000 vicende personali- io ho parlato con tanti transessuali non è conoscenza, o meglio non è conoscenza scientifica-conoscere significa contare e classificare. Immagino che qualcuno dirà che le persone non sono numeri, ma questa è un'obiezione emotiva che nega la verità del mondo, il mondo è fatto di persone e cose e queste persone e cose non sono nè infinte nè uguali, dunque non essendo infinite si possono contare e non essendo uguali si possono classificare e fare queste cose, cioè contare e classificare non signifca trattare le persone come numeri, disumanizzarle, signifca conoscerle, non come individui ma come gruppo. 5)Ovviamente questo lavoro incontra molti ostacoli, sia sul piano metodologico sia sul piano pratico. Spero che chi ha a cuore le persone transessuali faccia, presto e bene, questo lavoro. Che io sappia non ci sono annualmente dei reports sulla condizione delle persone transessuali in Italia così approfonditi ed estesi. Le associazioni lgbt dovrebbero coordinarsi fra di loro, coordinarsi con altri enti, pubblici e privati,con le università o altri enti di ricerca e fare questa cosa. Mi pare difficile credere che in Italia non si riesca a trovare qualcuno che sappia e voglia fare questo lavoro, anche una manciata di dottorandi possono essere sufficienti per capire cosa fare, come farlo, certo le associazioni dovrebbero essere le prime a spingere in questa direzione. Insomma è un lavoraccio, ma preoccuparsi delle persone transessuali non vuol dire solo denunciare questa o quella discriminazione o fare questa o quella manifestazione, significa conoscerle e farle conoscere. Conoscere non è solo raccontare la storia di Tizio o Caia, conoscere significa contare e classificare. Anche se all'inizio magari non sarà un capolavoro sul piano scientifico, cmq si sarà iniziato ed anno dopo anno avere reports sempre migliori sul piano metodologico etc è solo un vantaggio, perchè la conoscenza è sempre una cosa buona.