Com’è essere gay in Tunisia? Con controlli da parte della Polizia, perquisizioni, violazione della privacy e la possibilità di subire dei test anali per accertare l’omosessualità di una persona e condannarlo a 3 anni di carcere, non è certo il posto migliore per essere sé stessi. La Tunisia si trova infatti al pari dei Paesi più chiusi e conservatori, dove basta affermare in pubblico di essere omosessuali per venir arrestati. Anzi, qui è ancora peggio, poiché basta il sospetto.
Non si tratta solo del test anale, una pratica paragonata alla tortura, senza alcuna valenza scientifica e condannata dalla stessa comunità, che mina per sempre il rapporto medico – paziente. Ma si tratta di una vera “caccia al gay”. Basta il sospetto, e la Polizia ci mette poco a rintracciare il presunto gay, mettere a nudo la sua vita privata, interrogarla senza tenere conto dei suoi diritti, e se accertata la sua omosessualità, mandarlo davanti a un giudice per confermare la condanna per sodomia o per rapporti con persone dello stesso sesso. E 3 anni di carcere.
L’articolo 230 che condanna gli omosessuali in Tunisia
La legge condanna l’omosessualità in Tunisia con l’articolo 230 del codice penale, che appunto prevede la reclusione fino a 3 anni. Ma la reclusione è (quasi) “niente” in confronto alle discriminazioni che devono subire le persone LGBT, sia da parte delle autorità che dalla società. Le molteplici denunce da parte delle associazioni sono sempre rimaste inascoltate. Un timido segno di cambiamento c’è stato nel 2017, quando in Parlamento è nata una discussione riguardante il test anale e la sua abolizione. La pratica, utilizzata come prova nei processi, però è rimasta legale, e la discussione si è arenata in pochi mesi.
Anche durante le ultime elezioni si è cercato di inserire il tema LGBT nei programmi elettorali, ma senza successo: le condanne sono aumentate del 60% e nel ballottaggio per le elezioni presidenziali (il prossimo 13 ottobre) Kais Saied ha tentato di convincere i suoi elettori attaccando la comunità LGBT e sostenendo che la stessa riceve “fondi dall’estero per corrompere la nazione islamica“.
La battaglia in Parlamento degli attivisti
Un nome che lotta per i diritti civili è quello di Mounir Baatour, il primo candidato apertamente gay, poi dichiarato inadatto dalla commissione elettorale. Seppur scoraggiato dalla sua esclusione, non ha di certo smesso di lottare, denunciando gli abusi della Polizia che interroga i presunti gay senza difesa, puntando su violenze e paure.
A sostenerlo, c’è Khawla Ben Aïcha, 31enne e la più giovane deputata del Parlamento tunisino. E’ lei a spiegare che, secondo la legge vigente, una persone può rifiutarsi di sottoporsi al test anale. In questo caso, però, viene condannata per sodomia senza appello. La sua battaglia dall’interno del Parlamento punta a rendere illegale il test. In questo modo, non ci saranno “prove” per confermare se una persona è gay o meno, e quindi non ci sarebbe nemmeno il processo, in quanto si baserebbe sul nulla. Infatti, portare messaggi o foto compromettenti (ottenuti violando la privacy) non sono prove ammesse in tribunale, che per accertare il reato di sodomia si affida solo al test anale.
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Ma come si fa a considerare sicuro un paese in cui si fanno ste cose? Qualche gay elettore del m5s ha il coraggio di pretendere una revisione di questa lista di paesi “sicuri” a Di Maio e Bonafede ? Qualche gay che vota lega o Meloni ha il coraggio di dire a Salvini o Meloni di attaccare il governo per non aver protetto i gay che fuggono da queste torture? Ci sono certi gay che invece di avere solidarietà verso i propri consimili gay africani fanno le pedine della propaganda.