Negli ultimi anni, l’ascesa dei movimenti politici populisti e ultraconservatori sembra essere divenuta una costante nella politica internazionale, coinvolgendo anche l’Italia nel tardo 2022. Tuttavia, un altro paese (ex)europeo ci fa i conti ormai da oltre un lustro: la Gran Bretagna.
Un tempo una delle maggiori potenze economiche mondiali, la Gran Bretagna ha svolto, negli anni precedenti alla sua crisi, un ruolo di primo piano insieme ad altri stati all’avanguardia, nel promuovere un rinascimento culturale che ha portato l’Europa a essere considerata un faro per i diritti umani a livello globale.
Questo periodo di progresso e apertura culturale ha visto un brusco cambiamento di rotta a partire dal 2019, segnato dall’ascesa al potere dell’ex primo ministro Boris Johnson. Da quel momento, una serie di governi instabili e orientati verso politiche ultraconservatrici ha iniziato a minare i progressi conseguiti in precedenza, non solo a livello economico, ma anche e soprattutto in termini di diritti civili e inclusione sociale.
L’attuale esecutivo di Rishi Sunak – con le sue posizioni apertamente xenofobe e omobitransfobiche – rappresenta il culmine di questa evoluzione. Politiche che non solo rappresentano un’inversione rispetto agli ideali di apertura e tolleranza che avevano caratterizzato il Regno Unito e l’Europa in generale, ma sono anche fonte di preoccupazione sul futuro dei diritti umani e delle libertà civili in democrazie solo apparentemente solide, ma che si rivelano oggi fragili.
Il recente ban alle terapie affermative per bambinǝ e adolescenti è infatti solo la punta dell’iceberg di linguaggio d’odio, omobitrasfobia istituzionale e politiche anti-LGBTQIA+ instaurati dall’esecutivo britannico, e gli effetti cominciano a farsi sentire su tutto il territorio nazionale.
A farne le spese, come sempre, sono lǝ più piccol: secondo l’ultimo Trans Report 2024 di LGBT Youth Scotland, organizzazione per la tutela e i diritti dellǝ giovani LGBTQIA+ scozzese, negli ultimi 5 anni la condizione di bambinǝ e adolescenti transgender in Gran Bretagna è peggiorata in picchiata.
Complice anche la legittimazione del discorso d’odio a livello istituzionale – lo stesso Sunak insieme allǝ suǝ ministrǝ si è più volte lasciato andare ad esternazioni omobitransfobiche – l’opinione pubblica riguardante la comunità LGBTQIA+ è lentamente, ma costantemente, virata verso l’ostilità anche tra lǝ giovanissimǝ – il triste caso di Brianna Ghey ne è l’emblema.
E così, migliaia di giovani transgender – quell* intervistate hanno dai 14 ai 25 anni – oggi non si sentono più al sicuro a casa propria. Solo unǝ partecipante su tre ha dichiarato di disporre di spazi sicuri dove socializzare ed esprimere senza paura la propria identità, mentre il 40% teme discriminazioni e abusi sui mezzi pubblici.
Online la situazione non migliora: il 27% dichiara che i commenti negativi e il linguaggio d’odio sono ormai “qualcosa di imprescindibile” nella vita online, e che quindi la propria esperienza sulle piattaforme social è prevalentemente negativa.
Secondo LGBT Youth Scotland, le radici del disagio stanno proprio nell’omobitransfobia istituzionale:
“È fondamentale che i leader politici riconoscano e affrontino la propria responsabilità nell’attuale guerra culturale alle identità LGBTQIA+, che stanno minacciando la sicurezza dei giovani transgender e alimentando la transfobia nell’ambiente online.
Proponiamo che il governo elabori un’efficace strategia di intervento per contrastare non solo la crescente transfobia sul web, ma anche il razzismo, la misoginia, l’abilismo e altre forme di discriminazione.
È inoltre essenziale che le entità responsabili della produzione di contenuti digitali intraprendano una collaborazione attiva con i giovani transgender al fine di assicurare che gli spazi online diventino ambienti sicuri e inclusivi”.
Il problema è innegabilmente ormai diventato pervasivo e strutturale. Se tantissimǝ giovani transgender si trovano a fare i conti con abusi – e talvolta violenze – solo 1 su 10 ha fiducia nelle istituzioni e denuncia. Lǝ pochǝ che lo fanno, vengono spesso ignoratǝ nel migliore dei casi, o nel peggiore, finiscono per subire discriminazioni e abusi direttamente dalle autorità.
La transfobia a tutti i livelli è ormai diventato un problema sistemico per la Gran Bretagna: il 72% dellǝ giovani intervistatǝ lo sostiene. Unǝ partecipante su cinque che ne è statǝ direttamente vittima a scuola è statǝ costrettǝ ad abbandonare gli studi.
Ma neanche il mondo del lavoro è esente: il 44% dellǝ intervistatǝ ha dichiarato di nascondere – ove possibile – la propria identità di genere davanti allǝ colleghǝ.
Insomma un desolante spaccato di quello che un tempo fu uno dei paesi più progressisti al mondo, pioniere anche in ambito di diritti LGBTQIA+ nonché pilastro fondatore dell’Unione Europea come la conosciamo oggi.
Ma soprattutto, un monito a quello che potrebbe succedere anche da queste parti. Le similitudini tra il governo Meloni e quello Sunak – nonché l’amicizia tra i due capi di stato – sono ormai troppe da ignorare.
Tanto che, a distanza di poche settimane dal ban delle terapie affermative per minori in Gran Bretagna, l’Italia ha avviato un’iniziativa simile, se non identica.
La situazione britannica sottolinea quindi la fragilità dei progressi sociali e la velocità con cui possono essere messi in discussione sotto la guida di amministrazioni accecate dalle proprie ideologie e dalla propria sete di controllo: è questa la direzione che vogliamo prendano le nostre democrazie?
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