È innegabile che l’impatto dei cambiamenti climatici sia una delle questioni più urgenti della nostra epoca. Ne sono evidenza i sempre più frequenti disastri naturali, sintomo innegabile di una tendenza che va sovvertita prima che sia troppo tardi.
Il movimento ambientalista non è tuttavia una novità dei nostri tempi: i primi moti per la salvaguardia del pianeta risalgono agli albori della rivoluzione industriale. Il problema era stato previsto con largo anticipo.
Oggi, tuttavia, il movimento ambientalista è diverso, sempre meglio strutturato, e in molti hanno cominciato a notare una presenza sempre maggiore – e sempre più impegnata – di persone appartenenti alla comunità LGBTQ+ al suo interno. Ma si tratta di una moda, o le radici del fenomeno sono più profonde di così?
In uno studio condotto dal professor Eric Swank all’Università dell’Arizona nel 2018, le evidenze hanno dimostrato una partecipazione più consistente da parte della comunità LGBTQ+ ai movimenti ambientalisti e anti-capitalisti.
Swank ha ipotizzato, in quel frangente, che le persone queer si dimostrano probabilmente più coscienti e meno tolleranti verso le ineguaglianze e le ingiustizie a tutti i livelli, comprese quelle verso l’ecosistema. Vediamo nello specifico perché.