Piazzoni di Arcigay, l’intervista: “non si può discutere con gli omofobi i contenuti di una legge contro l’omofobia”

In vista dei 40 anni di Arcigay, abbiamo affrontato con il segretario generale Gabriele Piazzoni passato, presente e futuro dei diritti LGBT d'Italia. Partendo proprio dal DDL Zan.

Piazzoni di Arcigay, l'intervista: "non si può discutere con gli omofobi i contenuti di una legge contro l’omofobia" - Gabriele Piazzoni - Gay.it
Gabriele Piazzoni, segretario generale Arcigay
6 min. di lettura

Tra pochi mesi Arcigay compirà 40 anni di vita, e per l’occasione, in vista anche dell’imminente sbarco alla Camera dei Deputati della legge contro l’omotransfobia e la misoginia, ne abbiamo approfittato per intervistare Gabriele Piazzoni, da due anni Segretario Generale dell’Associazione.

Dicembre 1980, nasce Arcigay. Vogliamo contestualizzare quella fondazione palermitana. Perché prese vita?

Il primo circolo Arcigay, quello di Palermo fu la risposta di un gruppo di attivisti di fronte a un atto di violenza eclatante, consumato a Giarre, in provincia di Catania: una coppia di ragazzi fu uccisa per via del loro amore, considerato intollerabile agli occhi della comunità in cui vivevano. Ancora oggi su quel delitto non è stata fatta giustizia. L’indignazione per quanto avvenuto e la volontà di cambiare quella realtà, in cui le persone LGBTI+ non solo dovevano vivere nell’ombra ma potevano perfino essere vittime di crimini efferati nell’indifferenza dell’opinione pubblica, è stata alla base della nascita di Arcigay e del suo sviluppo in tutto il Paese.

40 anni dopo, c’è chi si chiede se l’associazionismo LGBT abbia ancora senso. Cosa rispondi loro.

Risponderei che i numerosi traguardi raggiunti, ma anche le battaglie che ancora non sono giunte a meta ma che comunque sollecitano la politica e l’opinione pubblica, sono la prova tangibile di quanto sia stato utile l’associazionismo LGBTI+ per favorire il progresso civile del Paese negli ultimi decenni. Purtroppo la storia universale dei diritti porta con sé un’amara constatazione: nessuno, in termini di riconoscimento di diritti, ha mai regalato nulla, in questo Paese come altrove. Non è sufficiente aspettare sperando che i diritti umani, civili, sociali e le relative tutele vengono riconosciuti, come una manna dal cielo: abbiamo sempre dovuto combattere con le unghie e con i denti per arrivare dove siamo oggi, e dovremo continuare a farlo per ogni centimetro della lunga e difficile strada verso la piena uguaglianza.

Oggi Arcigay è presente sull’intero territorio nazionale. Quanti comitati territoriali e quanti iscritti ci sono.

Arcigay conta ad oggi 72 sedi territoriali ed è una delle più ramificate organizzazioni politiche LGBTI+ d’Europa, con oltre 33.000 iscritti. Questi numeri descrivono sicuramente un vanto per Arcigay ma anche una grande responsabilità, legata alla rappresentanza di tanti voci, a volte anche molto diverse tra loro. Ma d’altronde, un’esperienza di attivismo non può che considerare il confronto costante e la ricerca di una sintesi come un valore aggiunto.

Poche settimane fa si sono celebrati i 20 anni del World Pride romano. 20 anni fa dal Vaticano arrivò di tutto, e 20 anni dopo dal Vaticano continua ad arrivare di tutto, vedi le parole dei vescovi contro la legge contro l’omotransfobia e la misoginia. Due Papi dopo, nulla parrebbe essere cambiato. Ma cambierà mai qualcosa?

Sta già cambiando. La posizione ufficiale della Chiesa sulle questioni che ci riguardano è sempre la stessa, ma di fronte a un immobilismo ideologico delle CEI non possiamo non riscontrare il grande cambiamento che sta avvenendo nel corpo vasto del mondo cattolico. Oggi cittadini di fede cattolica non sono più soggetti come lo erano 20 anni fa ad aderire acriticamente alle posizioni della Conferenza Episcopale Italiana. Abbiamo avuto modo, proprio in occasione dell’ultimo intervento della CEI sulla legge contro omotransfobia e misoginia, di registrare un profondo fastidio e un evidente disagio da parte delle associazioni e delle comunità cattoliche di base. è evidente che le posizioni espresse oggi dalla chiesa ufficiale, non sono più quelle che attraversano la maggioranza dei fedeli. La tolleranza diretta o indiretta verso forme di omofobia e discriminazione da parte della chiesa ufficiale sono sempre più invise da parte dell’opinione pubblica cattolica.

DDL Zan ormai prossimo ad approdare alla Camera dei Deputati, per poi puntare il Senato. Qual è la tua opinione nei confronti del testo base, preso di mira da centinaia di emendamenti e dai parlamentari cattolici di maggioranza e opposizione. Sono accettabili ulteriori compromessi? C’era davvero il bisogno di una ‘clausola salva-idee’?

Il testo di legge non esaurisce in modo completo i bisogni del contrasto all’odio e le necessità di tutela e assistenza che le persone LGBTI+ vittime di quella violenza richiederebbero, tuttavia il testo depositato raccoglie alcune nostre storiche istanze e interviene in modo utile su diversi aspetti legali, sociali, culturali e di tutela che investono la vita delle persone e che può contribuire a far fare un passo avanti all’Italia nella direzione della tutela e della piena inclusione di cittadinanza per le persone LGBTI+. Il punto però che deve essere chiaro è che non ci possono essere compromessi con chi questa legge semplicemente non la vuole, per dirla in parole semplici: non si può discutere con gli omofobi i contenuti di una legge contro l’omofobia. Gli emendamenti di compromesso, come il cosiddetto “salva idee”, che mirano a rassicurare sulla libertà di opinione, mai messa in discussione da questa legge e garantita dalla Costituzione, sono un indicatore chiaro di quanta strada ancora deve compiere il nostro Paese. Sappiamo tutti che nessun si sarebbe mai sognato di inserire un emendamento del genere in una legge per il contrasto del razzismo o dell’antisemitismo, sarebbe esploso il Parlamento. Solo sulle leggi che investono la vita delle persone LGBTI+ vengono accettati emendamenti che in qualunque altra legge suonerebbero come un inaccettabile sfregio. E questo stato di cose è un qualcosa con cui dovremo continuare a fare i conti anche se la legge venisse approvata in una formulazione efficace.

Da anni i cattoestremisti parlano continuamente di una fantomatica ‘lobby gay’, che avrebbe le redini del potere politico, economico e televisivo d’Italia. Vogliamo snocciolare nomi e cognomi di codesti signori?

Me lo faccia dire in termini chiari: dato il livello di ritardo pluridecennale rispetto ad altri paesi e le fatiche immani che si devono compiere per fare progredire i diritti e le tutele per le persone LGBTI+, direi che, almeno in Italia, la lobby Antigay è decisamente più potente. Dopodiché, ironie a parte, se davvero esistesse una lobby gay in Italia – cioè un gruppo trasversale ai partiti e alle classi sociali in grado di fare un’azione concreta ed efficace di advocacy sul riconoscimento dei diritti delle persone LGBTI+, non perderemmo un minuto di tempo a nasconderla o a negarla, anzi la festeggeremmo alla luce del sole. E se non lo facciamo è semplicemente perché non c’è.

Tornando al mondo dell’associazionismo LGBT nazionale, ciò che da fuori traspare è una ricerca di visibilità mediatica che troppo spesso porta le associazioni stesse a scontrarsi, a scapito della comunità tutta che di queste beghe interne non coglie sfumature e utilità. Credi che nel corso del tempo le cose siano in tal senso peggiorate o migliorate.

Credo che nel complesso tutto l’associazionismo LGBTI+ spinga nella stessa direzione, ciascuno con le proprie pratiche e modalità, ma saldamente uniti dalla volontà di creare un futuro più inclusivo per tutte le persone che le associazioni cercano di rappresentare. A volte possono esserci differenti tattiche utilizzate dalle varie realtà per cercare di raggiungere l’obbiettivo, ma non si tratta di conflitti, ma solo di diversi modi di marciare verso l’obiettivo comune della piena uguaglianza e inclusione per le persone LGBTI+. Dopodiché, l’associazionismo soffre degli stessi mali di cui soffre chiunque di questi tempi, e l’approccio alla comunicazione, spesso affannato e bulimico, è tipico del tempo che attraversiamo, non tanto e non solo del mondo LGBTI+.

L’Onda Pride 2020 è stata purtroppo spazzata via dal Covid-19, eppure c’è chi puntualmente trova tempo e modo per attaccare una manifestazione tanto pacifica e accogliente. Tu hai memoria del tuo primo Pride, vissuto in prima persona? E perché credi sia ancora tanto importante non solo parteciparvi ma soprattutto difenderlo.

Il mio primo pride fu proprio il world pride del 2000 a Roma, avevo 16 anni e per me esserci fu una piccola rivoluzione personale che allora non immaginavo avrebbe cominciato a cambiarmi la vita. Oggi l’Ondapride, che spero dall’anno prossimo riprenda a snodarsi in decine di città del nostro Paese, è uno dei fattori di cambiamento culturale più efficaci che abbiamo mai realizzato come movimento. Creare momenti di partecipazione di massa in città grandi e piccole, coinvolgendo milioni di persone di ogni provenienza, estrazione sociale e culturale, orientamento sessuale e identità di genere, ha una potenza culturale e politica senza eguali. Il Pride è un patrimonio che non solo va difeso, ma rafforzato e sviluppato sempre di più, perché è il modo migliore per far capire che non siamo un corpo estraneo dell’Italia di oggi, un qualcosa di diverso o di lontano. Il Paese siamo noi, siamo figli e figlie, fratelli e sorelle, genitori, amici, colleghi di lavoro e vicini di casa.

9 dicembre 2020, la speranza è quella di celebrare i 40 anni di Arcigay con una legge contro l’omotransfobia per decenni agognata. Ma tante altre battaglie ci aspettano. Dal matrimonio egualitario alle adozioni, il mondo occidentale corre mentre l’Italia sembrerebbe andare avanti con il freno a mano tirato, mentre le destre populiste e sovraniste guardano al Governo del Paese. C’è spazio per un po’ di sano ottimismo?

Le forze contro di noi sono potenti, ma non ho alcun dubbio che nonostante le nuvole scure che a volte si intravedono all’orizzonte, presto o tardi chi sta dalla parte di diritti prevarrà in questa gigantesca battaglia per il progresso sociale. Le posso assicurare che per quanto possano cercare di umiliarci, ferirci o farci cadere durante il cammino sulla strada verso la piena uguaglianza, ci rialzeremo sempre sconfiggendo la paura, forti della nostra incrollabile fede nella certezza della vittoria finale della civiltà.

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Franzc Dereck 31.7.20 - 16:51

Al terzo stato , alla borghesia non è stato concesso dai nobili o dai preti alcun diritto civile o dignità di esistere . Se la sono conquistata , andando a prendere le armi conservate alla Bastiglia ed uccidendo gli Svizzeri che le custodivano. La storia la si può edulcorare per le educande , ma non alterare nel suo significato.

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