Patrick Zaki non è più una vittima del regime. Non è più un ragazzo che è stato interrogato e torturato per ore, andando contro i suoi diritti. E’ gay. Quindi, per la stampa egiziana, è un criminale che deve stare in carcere, per sempre. E continuare a essere torturato e picchiato senza alcuna colpa.
A distorcere la figura del ricercatore è il giornale ufficiale dello stato Akhbar Elyom, il quale racconta il master che Zaki stava frequentando all’Università di Bologna, incentrato sugli studi di genere. Questo basta per considerarlo un attivista LGBT, che con le sue dichiarazioni pubbliche (tramite social) voleva rovesciare il regime egiziano. L’articolo parla di perversione, di caos, di lotta per i diritti civili: tutto sullo stesso piano, in un Paese dove vivere liberamente la propria omosessualità è un atto sovversivo.
Il sospetto: Patrick Zaki detenuto perché gay
Patrick Zaki è semplicemente un ricercatore che ha a cuore anche i diritti civili e si batte anche per la causa LGBT. I suoi studi e il suo impegno non sono atti di terrorismo. Ma in Egitto non è questo che arriva alla gente. E’ più semplice pensare che Patrick sia un omosessuale, un “degenerato sessuale”, come lo definisce il quotidiano vicino al presidente Al Sisi. E questa finta rappresentazione fa di Patrick Zaki un criminale omosessuale.
Al momento, i giornali vicino al regime stanno tenendo proprio questa linea, giustificando l’arresto e la detenzione prolungata non solo per mai specificate accuse di terrorismo, ma per essere un sostenitore dei diritti LGBT. La strategia dei giornali (e del regime) è quello di allontanare tutti dal ragazzo, rendendolo indifendibile, e col passare dei mesi (e degli anni) farlo sparire. Come accaduto per Giulio Regeni.
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