Tutto tace in India da quel fatidico 17 ottobre dell’anno scorso, in cui la Corte Suprema si rifiutò di legalizzare il matrimonio tra persone dello stesso sesso, rigettandolo come diritto costituzionale e rimettendo al parlamento la responsabilità di legiferare in tal senso.
Una sconfitta cocente sia per la comunità LGBTQIA+ indiana che per quella internazionale, perché – dopo Taiwan e Nepal – l’India sarebbe diventata il terzo paese asiatico a riconoscere tale tutela, nonché il più popoloso, mandando un segnale fortissimo alle democrazie di tutto il mondo in un periodo storico delicatissimo dal punto di vista dei diritti umani e civili.
Tuttavia, la Corte aprì in quel frangente uno spiraglio, riconoscendo l’effettiva necessità di espandere tutele e diritti alle coppie dello stesso sesso, ed esortando il parlamento a muoversi il più rapidamente possibile verso l’obiettivo.
Una raccomandazione presto scontratasi con l’atteggiamento ostile dell’attuale governo ultraconservatore verso il matrimonio egualitario, considerato come la “richiesta di un’élite urbana privilegiata” e “non paragonabile al concetto di unità familiare indiana di marito, moglie e figli”. Un’opinione che cozza con quel 53% della popolazione che invece si dimostra favorevole.
Nonostante le promesse del governo di istituire una commissione per rivedere e modificare le leggi attuali, quindi, a oggi, nessun passo avanti.
E così, tutte le petizioni, le campagne ma soprattutto le vite di coloro che hanno lottato duramente perché la questione venisse sottoposta alla Corte Suprema rimangono nel limbo. Attualmente, le coppie LGBTQIA+ in India dispongono infatti solo del diritto di “coabitazione non registrata”, e l’obiettivo della mobilitazione era quindi quello di modificare ed aggiornare lo Special Marriage Act del 1954 per garantire pari dignità anche alle coppie dello stesso sesso.
Tre dei firmatari della causa – Uma P, Akkai Padmashali e Zainab Patel – chiedono quindi aiuto alla comunità internazionale, avviando una petizione con l’ONG All Out – organizzazione globale senza scopo di lucro che si concentra sulla difesa politica dei diritti LGBTQIA+. L’obiettivo, quello di ricordare al governo le promesse fatte.
“Le coppie e le famiglie LGBT+ hanno bisogno di molti diritti che non sono stati contemplati nella sentenza della Corte Suprema, tra cui quelli relativi all’adozione, alla tassazione e ai parenti stretti – spiega Uma P – Anche per i diritti che abbiamo, è difficile accedervi a causa dell’ignoranza e dello stigma dei funzionari governativi.
Nella sua sentenza, la Corte Suprema ha affermato di non essere un legislatore e ha affidato al Parlamento la responsabilità di legiferare sul matrimonio. Ma non sappiamo quante persone in Parlamento conoscano o si preoccupino della nostra comunità, né quanto sostengano i diritti delle persone LGBT+.
Tuttavia, dobbiamo lottare e alzare la voce. Attraverso la petizione su All Out, vogliamo mettere in evidenza la lotta per i nostri diritti. Vogliamo raggiungere il maggior numero di persone possibile e speriamo che, se il Parlamento e il governo vedranno il vostro sostegno, anche loro ci sosterranno”.
E così, finalmente, All Out dà con la propria campagna una voce globale a coloro che per tutto il corso del 2023 sono diventati il simbolo della lotta per i diritti civili in India, lasciando loro il microfono per raccontare la loro battaglia e la loro quotidianità “a metà” in un reportage di impatto.
C’è la storia di Ankur e Deepak, che condividono la loro vita da 15 anni, ma non sono riconosciuti nella vita l’uno dell’altro. Sognano il riconoscimento legale e la possibilità di crescere una famiglia insieme.
Quella di Sai e Zoya, una coppia queer di religioni diverse e quindi vittima di pesanti discriminazioni dall’inizio della loro relazione. Nonostante abbiano costruito una vita insieme, lo stato si rifiuta di riconoscere la loro unione.
Anurag ha invece dovuto fare affidamento sulla benevolenza del suo padrone di casa per poter vivere con il suo partner.
E infine Bijoy e Subhash, vittime – dall’altro capo del mondo – della stessa discriminazione istituzionale riservata alle nostre famiglie arcobaleno. Hanno un bambino insieme, ma non possono legalmente definirsi i suoi genitori.
“All Out è impegnata a far progredire i diritti delle persone LGBT+ in tutto il mondo – commenta Matt Beard, direttore esecutivo di All Out – Abbiamo sostenuto la lotta per il matrimonio egualitario in molti Paesi e ora siamo lieti di collaborare con Akkai, Uma e Zaiban per questa campagna in India. Vogliamo mostrare al Parlamento indiano e al governo indiano che c’è un enorme sostegno internazionale per le persone LGBT+ e i loro diritti. Speriamo che questo sostegno internazionale faccia pressione sulle autorità indiane affinché agiscano, approvando finalmente il matrimonio egualitario e fornendo pari diritti familiari alle persone LGBT+”.
Gay.it è anche su Whatsapp. Clicca qui per unirti alla community ed essere sempre aggiornato.