India, la Corte Suprema dice no al matrimonio egualitario: “È responsabilità del parlamento”

La stessa corte ha però aperto le porte all'adozione per le coppie LGBTQIA+, chiedendo inoltre leggi contro le discriminazioni e di sensibilizzazione.

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Non sono bastate le raccolte firme e una lunga campagna social. La Corte Suprema dell’India si è rifiutata di legalizzare il matrimonio tra persone dello stesso sesso, sottolineando come non sia considerato un diritto costituzionale e  attribuendo al parlamento la responsabilità di legiferare in tal senso. Il Presidente della Corte Suprema dell’India Dhananjaya Yeshwant Chandrachud ha sentenziato che non spetta alla Corte Suprema creare una nuova istituzione matrimoniale, anche perché la Corte “non può emanare leggi, ma può farle rispettare“. Peccato che il parlamento indiano sia fermamente contrario alle nozze tra persone dello stesso sesso.

Tuttavia, con una sentenza storica, la stessa Corte ha dato tutta una serie di indicazioni al governo su nuove leggi che dovranno consentire alle coppie LGBTQIA+ di poter adottare bambini. In questo modo cadrà il regolamento CARA (Central Adoption Resource Authority), che consentiva solo a una persona queer di adottare, e non alle coppie.

Ma ci sono altre indicazioni emesse oggi dalla Corte indirizzate al governo: garantire che la comunità queer non sia discriminata, sensibilizzare il pubblico sui diritti queer, creare case sicure e una linea diretta per i membri della comunità queer e riconoscere i diritti dei cittadini LGBTQIA+.

Attualmente, alle coppie queer in India è consentito avere solo “coabitazioni non registrate”, il che significa che possono vivere insieme, ma non sono concessi loro i diritti delle coppie sposate eterosessuali.

All’inizio di quest’anno, coppie e attivisti LGBTQ+ avevano presentato una serie di petizioni alla Corte chiedendo il riconoscimento legale del matrimonio, sostenendo che l’India è una “cultura basata sul matrimonio” a cui le persone LGBTQ+ dovrebbero poter partecipare. I firmatari avevano specificamente chiesto che venissero apportati aggiornamenti allo Special Marriage Act (SMA) dell’India del 1954.

Ma oggi la Corte Suprema ha fatto sapere che non può aggiornare o cancellare la SMA, che consente i matrimoni interreligiosi e tra caste. I sostenitori della comunità LGBTQ+ avevano chiesto un’interpretazione più ampia della legislazione, che includesse anche il matrimonio tra persone dello stesso sesso.

Il governo indiano si era opposto a questa ipotesi, descrivendo le richieste per il matrimonio egualitario come “elitarie urbane” e dichiarando che un’unione omosessuale non è “paragonabile al concetto di unità familiare indiana di marito, moglie e figli”. Non contenti, a loro dire il matrimonio tra persone dello stesso sesso “pregiudicherebbe seriamente gli interessi di ogni cittadino”.

Il Presidente della Corte Suprema Chandrachud ha respinto le affermazioni del governo indiano con la sentenza odierna, affermando che la queerness non è né urbana né elitaria, e affermare ciò significa cancellare le persone LGBTQ+.

Anche i leader di tutte le principali religioni indiane si sono uniti per opporsi al matrimonio tra persone dello stesso sesso, sostenendo che il matrimonio è finalizzato alla “procreazione, non alla ricreazione”, secondo The Hindu.

Ciononostante, i cinque giudici della Corte Suprema hanno preso in carico il caso, promettendo di non interferire con le leggi religiose personali, ma di verificare se organizzazioni come la SMA potrebbero essere aggiornate per includere le persone LGBTQ+. Se il matrimonio tra persone dello stesso sesso fosse completamente legalizzato, le leggi indiane sulla famiglia dovrebbero essere aggiornate per consentire a milioni di indiani LGBTQ+ il diritto legale di sposarsi. Di conseguenza, consentirebbe alle persone LGBTQ+ in India di assumere lo status di “coniuge” per questioni finanziarie, mediche, assicurative ed ereditarie. Solo pochi mesi fa un giudice della stessa Corte aveva definito il matrimonio egualitario una “questione di fondamentale importanza”.

Al momento, solo due paesi asiatici riconoscono il matrimonio tra persone dello stesso sesso, Taiwan (2019) e Nepal (2023).

Nel 2018 la Corte Suprema indiana aveva abolito la criminalizzazione del sesso gay, figlia dell’era coloniale. Lo scorso giugno un sondaggio ha rilevato che il 53% degli adulti indiani è a favore della legalizzazione del matrimonio egualitario.

Sebbene nel 2012 il governo indiano ha affermato che il paese avrebbe una popolazione LGBTQ+ di circa 2,5 milioni di abitanti, gli attivisti locali hanno calcolato, sulla base di stime globali, che le persone LGBTQ+ rappresenterebbero in realtà almeno il 10% della popolazione indiana: ovvero circa 135 milioni di persone.

Fonte: PinkNews

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